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20 T.U. circa
Immagine di
Rolando LIGUSTRI
Ripresa dall'Osservatorio
Astronomico di Talmassons (Ud)
Sezione Stelle
Variabili
Variable star V838 MON - 56 KB
STELLA V838 MONOCEROTIS
Catalogata come : V838 MON
Ascensione retta: 07h 04m 05s ; declinazione: -03° 50' 50" (2000.0)
Dimensione reale stella: 1000 volte quella del Sole
Dimensione reale nebulosa: circa 7 anni-luce; distanza: 20 mila anni-luce

Nella notte dell'Epifania dell'anno scorso (06/01/2002) venne notato che una debole stella aveva mutato la propria luminosità: la GSC-04822-00039 aveva avuto un'esplosione, ma francamente nessuno avrebbe minimamente supposto che quest'infimo oggetto sarebbe divenuto uno dei più interessanti oggetti della nostra Galassia. La variazione di luminosità impose a parecchi osservatori di mutare i propri programmi e di cercare di capire il perché si fosse verificata, in modo da riuscire a interpretare il fenomeno che stava accadendo. Uno dei primi telescopi a porsi questo programma fu il Copernico di 182 cm di diametro dell'Osservatorio di Asiago (VI). La stellina, avendo modificato la propria luminosità, dopo l'esplosione venne ribatezzata V838 Mon (essendo nella costellazione di Monoceros-Unicorno, situata fra il Cane Maggiore, Orione, il Cane Maggiore, la Poppa e l'Idra) e si trova a ventimila anni luce di distanza dalla Terra.
Studiata intensamente anche dal telescopio Spaziale Hubble (HST), si appurò che essa aumentò di circa seicentomila volte la propria luminosità, divenendo per alcuni mesi la stella intrinsecamente più luminosa della Via Lattea, pur non essendo una supernova né una nova!

L'eplosione di V838 Mon fu effettivamente un evento unico, in quanto ebbe un comportamento a dir poco bizzarro, ben lontano da quanto si sarebbe potuto prevedere dalla teoria della fisica stellare. Intanto più la stella cresceva in luminosità più diveniva fredda, esattamente l'opposto di quanto avviene nelle esplosioni delle stelle novae, in aggiunta manifestò temperature e spettri tipici delle nane brune, le stelle più piccole (di poco superiori alle dimensioni dei pianeti di tipo gioviano) che non riescono ad accendere al loro interno la fusione termonucleare.
V838 Mon divenne invece duemila volte più grande del Sole, sino a raggiungere un diametro di 3 miliardi di km, e nel suo sistema si formò ed espanse un fantastico "eco di luce", il primo scoperto nella nostra galassia da quasi un secolo. Evidenziato per la prima volta da Ulisse Munari, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica-Osservatorio Astronomico di Asiago, e da Arne Henden, dell'Osservatorio Astronomico della Marina degli Stati Uniti, è un fenomeno che interessa le polveri che circondano la stella, le quali riflettono verso di noi la luce emessa in precedenza da V838 Mon, un po' come il fianco di una montagna riflette un'eco sonora che si sviluppa nella valle sottostante. Analogamente al lampo di un flash, la luce prodotta dall'immane esplosione viaggia attraverso le polveri circumstellari e illumina progressivamente strati sempre più lontani dall'oggetto centrale. Analogamente a una tomografia assiale computerizzata (TAC) medica, prendendo regolarmente immagini dell'oggetto a distanza di un certo numero di mesi si ottiene un'immagine tridimensionale del sistema stellare.

L'eco della luce ha ora una dimensione di 60 mila miliardi di km, pari a sette anni luce, che, alla distanza della stella, corrispondono a un diametro angolare pari a due volte il diametro di Giove, perfettamente visibile dalla Terra persino con telescopi amatoriali, come potete vedere nell'immagine qui sopra. Ovviamente le riprese dell'HST sono bellissime e di tutt'altro livello, ma è comunque significativo che pure noi si possa riprenderlo con le camere ccd.
Un particolare da sottolineare è che il materiale circustellare illuminato dall'eco di luce non è materiale espulso durante l'esplosione, ma probabilmente rilasciato nei 10 mila anni antecedenti all'esplosione ora visibile. Questa fase di solito non si riesce a osservare nelle stelle normali, in quanto il materiale disperso nelle ultime fasi della vita di questi astri, solitamente polveri, gas e particelle atomiche, si allontana molto dalla stella centrale che lo emette, prima che questa diventi calda a sufficienza da eccitarlo e renderlo autonomamente luminoso, per un effetto simile a quanto avviene nei tubi al neon. Gli astronomi prevedono che la eco proseguirà per qualche anno e si smorzerà verso la fine di questo decennio.
L'esplosione catastrofica della stella ha riversato molti elementi chimici pesanti e altri non attesi, come enormi quantità di ossido di alluminio che andranno ad arricchire il mezzo interstellare medesimo, dal quale in futuro nasceranno nuove stelle, in un ciclo che dura ininterrottamente dalla creazione dell'Universo.

Informazioni ricavate dall'articolo "Echi di luce dall'Unicorno" pubblicato a pagina 69 della rivista Nuovo Orione del maggio 2003.
Ringrazio l'editore e l'autore dell'articolo per le citazioni.

L'immagine è da 417 x 417 pixel, a 16 milioni di colori, e occupa 1 MB di memoria qui compresso a 56 KB. Il campo è di 20' x 20' d'arco e la risoluzione è di 2,35"/pixel.

Telescopio Riflettore : NEWTON da 350 mm di diametro; lunghezza focale : 1750 mm ; f/5
CCD : SBIG ST9E (KAF 261)
Tempo d'integrazione : vari (tricromia RVB)

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Copyright © 2003-2007 di Lucio Furlanetto (testo) e 2003 di Rolando Ligustri (immagine)

Pagina caricata in rete: 15 maggio 2003; ultimo aggiornamento (3°): 3 giugno 2007