Il rischio d'Impatto da Piccoli Asteroidi:
situazione attuale e problemi ancora aperti.


di Luigi Foschini


Abstract

La filosofia corrente in merito ai rischi d’impatto considera trascurabile il pericolo posto dai piccoli asteroidi. Tuttavia alcuni fatti indicano che tale filosofia debba essere rivista. In questo documento si esamineranno alcuni di questi fatti. E’ bene notare che, mentre sembra che la frequenza d’impatto di oggetti tipo-Tunguska sia più elevata di quanto stimato finora, la frammentazione atmosferica sia più efficiente di quanto comunemente si ritiene. Ed effettivamente i dati provenienti dalle registrazioni di airbusts indicano che i piccoli asteroidi si frammentano a pressioni dinamiche inferiori alla loro resistenza meccanica. Questo significa che i modelli teorici non sono in linea con le osservazioni e pertanto è necessaria la formulazione di nuovi modelli e la raccolta di altri dati per giungere alla comprensione del fenomeno.

 

1. Introduzione

L’interesse in merito all’impatto di oggetti interplanetari con i pianeti, in particolar modo con la Terra, è cresciuto in modo significativo negli ultimi anni a seguito di molti eventi quale, ad esempio, la caduta nell’atmosfera di Giove della cometa D/Shoemaker-Levy 9.
Particolare attenzione è stata riservata all’individuazione di oggetti con dimensioni chilometriche, in grado di mettere la Terra in grave pericolo. In anni recenti ciò è stato evidenziato da molti autori con differenti punti di vista (ad es. Aduskhin e Nemtchinov 1994, Chapman e Morrison 1994, Toon e altri 1997). La ragione è molto semplice, come ha scritto Clark Chapman (1996): l’impatto di un oggetto di questo tipo ha una probabilità non nulla di originare nel corso della nostra vita una catastrofe ecologica globale.
Gli oggetti più grandi (decine di chilometri) possono causare un evento in grado di provocare una estinzione. Il conseguente "inverno asteroidale", derivante dalla pesante immissione di polvere nell’atmosfera, è molto simile, escludendo le conseguenze radioattive, all’inverno nucleare. Potrebbe causare il sorgere di condizioni ambientali le cui caratteristiche principali sono riconducibili a lunghissimi periodi di oscurità e di riduzione della temperatura, qualcosa di simile all’inverno polare su scala mondiale (Cockell e Stokes 1999).
Anche se comprendo e rispetto tali opinioni, io penso che non possiamo trascurare completamente i piccoli corpi. Ci sono due motivi principali: primo, la frammentazione di un asteroide nell’atmosfera terrestre non è ben conosciuta. Osservazioni di piccoli asteroidi (fino a decine di metri) mostra che la frammentazione si verifica quando la pressione dinamica è inferiore alla resistenza meccanica, e non vi è alcun motivo per pensare che i corpi più grandi si debbano comportare in modo differente. Pertanto, gli airburst possono darci dati per testare le teorie per la frammentazione, che sono valide anche per i corpi più grandi.
Il secondo motivo è che, sebbene il danno causato da oggetti tipo-Tunguska possa essere definito "locale", non è comunque trascurabile. A tal proposito ci sono numerosi studiosi, ad esempio J. Lewis, M. Paine, S.P. Worden e B.J. Peiser (si vedano i dibattiti in Cambridge Conference Net), che ritengono che i piccoli asteroidi possano anche essere più pericolosi dei corpi più grandi.
Inoltre, David Jewitt (2000), dopo il lavoro di Rabinowitz e altri (2000) nel quale gli autori hanno ridotto drasticamente il numero dei NEO più grandi di 1 km, suggerisce che è giunto il momento di intraprendere una più ambiziosa ricerca di NEO, comprendendo i piccoli oggetti.
Il presente lavoro non intende presentare nessuna nuova teoria o osservazione, ma analizzare alcuni punti non presenti in precedenti studi e analisi. La finalità di questo lavoro è rafforzare gli studi dei piccoli oggetti, dal momento che le nostre conoscenze a tal proposito sono molto limitate.
Il lavoro è diviso in due parti: nella Sezione 2 aggiungo alcune note al dibattito sul pericolo proveniente dai piccoli asteroidi. Nelle Sezioni 3 e 4 presento l’evidenza che la frammentazione di piccoli asteroidi nell’atmosfera della Terra è ancora un problema aperto.

 

2. Eventi tipo-Tunguska

Piccoli oggetti, dell’ordine delle decine o centinaia di metri, sono in grado di causare danni locali anche gravi. Il più conosciuto tra gli eventi di questo tipo è quello di Tunguska del 30 giugno 1908, che ha prodotto la devastazione di un’area di 2150± 25 km2 e la distruzione di più di 60 milioni di alberi (per una rivista, vedi Vasilyev 1998). Tutt’oggi è ancora aperto un ampio dibattito sulla natura dell’oggetto cosmico responsabile del disastro. Il Luglio scorso una spedizione scientifica italiana, Tunguska99, si è recata in Siberia per raccogliere dati e reperti (Longo e altri 1999).
Chapman e Morrison (1994) avevano considerato gli eventi tipo-Tunguska un rischio trascurabile. Potrebbero anche aver ragione, considerando le sostanziali incertezze in questi studi, ma hanno sottostimato alcuni valori. Benché abbiano proposto i dati con ampi margini d’errore, la domanda è: dove possiamo collocare il centro di questi margini?
Analizziamo le ipotesi di Chapman e Morrison: anzitutto essi considerano che l’area distrutta in Tunguska (vale a dire l’area entro la quale l’onda d’urto era sufficiente ad abbattere gli alberi) fosse di circa 1000 km2. Tale valore è comunque maggiore dell’area nella quale la sovrapressione raggiunge il picco di 4 psi (27560 Pa), sufficienti a distruggere comuni abitazioni (in accordo con la formula citata da Chapman e Morrison l’area di 4 psi è circa 740 km2, considerando un valore di 20 Mton).
Si possono avanzare due principali obiezioni a questa ipotesi: anzitutto il valore misurato dell’area con gli alberi caduti è più del doppio (vedi sopra; Vasilyev 1998). In aggiunta a questo, è necessario notare che una sovrapressione di 2 psi produce venti di 30 m/sec, il che basta a provocare seri danni alle strutture in legno. In ulteriore aggiunta i detriti scagliati in volo a tale velocità sono un rischio per la vita (Toon e altri 1997).
Pertanto un valore ragionevole del rischio di morte per gli esseri umani durante un evento tipo-Tunguska è 104, invece di 7x103 come indicato da Chapman e Morrison. Il suddetto valore è stato calcolato utilizzando la formula in Adushkin e Nemtchinov (1994) e assumendo un’energia dell’esplosione di 12.5 Mton (Ben-Menahem 1975).
Chapman e Morrison (1994) fanno correttamente presente che vi sia una ben maggiore probabilità che un evento di questo tipo possa verificarsi in una zona disabitata del pianeta. D’altra parte, nella sfortunata ipotesi che si verifichi in una città densamente popolata, potrebbe causare un grande disastro. Per esempio in Roma, che ha una densità di popolazione di circa 2000 persone per chilometro quadrato, il numero di vite umane in pericolo potrebbe essere più di 2 milioni.
E’ altresì necessario valutare la frequenza degli eventi tipo-Tunguska. Chapman e Morrison considerano un intervallo di tempo di 250 anni, ma molti altri studi ed episodi suggeriscono un valore più basso. Farinella e Menichella (1998) hanno studiato attraverso modelli numerici il comportamento dinamico di oggetti interplanetari delle dimensioni del responsabile di Tunguska ed hanno trovato una frequenza di impatto di un evento ogni 100 anni. Tuttavia in tale studio gli autori non prendono in considerazione l’effetto Yarkovsky (vedi Farinella e Vokrouhlick?, 1999, e bibliografia in merito), che può leggermente aumentare il numero dei NEO (Near Earth Objects) sospinti verso la Terra.
Ci sono anche osservazioni da terra e dallo spazio che avvalorano queste conclusioni, anche se l’intervallo di frequenza può variare in modo significativo. Per esplosioni di 1 Mton la frequenza di impatto può essere di un evento ogni 17 (ReVelle 1997) o 40 anni (Nemtchinov e altri 1997b), e questo implica che un evento Tunguska (12.5 Mton) possa verificarsi una volta ogni 100 o 366 anni. Se consideriamo un’energia di 10 Mton, secondo quanto calcolato da Hunt e altri (1960), otteniamo un valore della frequenza d’impatto rispettivamente di 88 o 302 anni. In aggiunta a questo, Steel (1995) segnala altri due eventi tipo-Tunguska in Sud America nel 1930 e 1935: ciò rafforza il valore della frequenza di impatto di un evento ogni 100 anni (o meno).
Se noi, ora, consideriamo come tipico per un impatto tipo-Tunguska un intervallo temporale di 100 anni e 104 decessi per ogni evento, otteniamo 100 morti per anno sull’intera popolazione mondiale; questo valore non è più trascurabile nella scala di Chapman e Morrison (1994).

D’altra parte dobbiamo sottolineare la grande incertezza di tali valori, principalmente dovuta all’impiego di relazioni empiriche con dati insufficienti. Siamo consapevoli che la minaccia costituta da oggetti di dimensioni chilometriche e multichilometriche sia più rischiosa e perciò si debbano studiare tali oggetti ed i metodi per evitare una catastrofe globale. Tuttavia, i pochi punti segnalati in questo lavoro suggeriscono che noi dobbiamo studiare anche gli eventi tipo-Tunguska. In aggiunta a questo vale la pena di notare che gli studi in merito al rischio d’impatto sono spesso basati sui modelli di frammentazione dei corpi celesti nell’atmosfera terrestre. Questi modelli assumono che la frammentazione inizi quando la pressione dinamica nel punto di stagnazione sia equivalente alla resistenza meccanica del corpo. Tuttavia, come vedremo, questo non avviene.

 

3. Il fallimento delle teorie correnti

I calcoli relativi al rischio d’impatto sono strettamente collegati ai modelli numerici della frammentazione di asteroidi/comete nell’atmosfera terrestre attualmente disponibili. Tali modelli ipotizzano che la frammentazione cominci quando la pressione dinamica davanti al corpo cosmico sia uguale alla resistenza meccanica del materiale. Tuttavia, le osservazioni di bolidi molto brillanti prova che grossi meteoroidi o piccoli asteroidi si frammentano a pressioni dinamiche inferiori alla loro resistenza meccanica. A tutt’oggi non c’è ancora alcuna spiegazione per questo enigma.
Questo fatto è di capitale importanza, dato che ci consente di sapere se un asteroide possa o meno raggiungere la superficie della Terra. In aggiunta a questo, la frantumazione atmosferica influenza anche il processo di craterizzazione (Passey e Melosh 1980) o l’area devastata dall’esplosione e relativa onda d’urto. E’ dunque necessario stabilire un criterio attendibile per valutare il rischio d’impatto. Tutti gli studi mostrati finora sono basati su modelli nei quali la frammentazione comincia quando la pressione dinamica è uguale alla resistenza meccanica dell’asteroide. Ma, come vedremo, le osservazioni indicano che questo non è vero.
L’interazione di un oggetto cosmico con l’atmosfera terrestre può essere divisa in due parti, secondo le dimensioni dell'oggetto. Per corpi di dimensioni da millimetriche fino al metro (meteoroidi) il modello teorico più utilizzato è quello della frammentazione grossolana sviluppato da Ceplecha e altri (1993) e Ceplecha (1999). In questo modello si considerano due fenomeni base: la frammentazione continua, che è il processo principale nell'ablazione del meteoroide e la frammentazione improvvisa o frammentazione discreta in un dato punto.
Per piccoli asteroidi viene utilizzato un altro modello, in cui l'ablazione è compresa sotto forma di frammentazione esplosiva, mentre la si considera trascurabile in alta quota. Sono stati sviluppati diversi modelli: Baldwin e Shaeffer (1971), Grigoryan (1979) Chyba e altri (1993), Hills e Goda (1993), Lyne e altri (1996). Uno studio comparativo dei modelli presentati da Grigoryan, Hills e Goda, e Chyba-Thomas-Zahnle è stato compiuto da Bronshten (1995). In tale studio si rileva che il modello proposto da Chyba e altri non tiene conto della frammentazione: per tale motivo le altezze di distruzione sono sovrastimate (circa 10-12 km). Bronshten conclude inoltre che i modelli di Grigoryan e Hills-Goda sono equivalenti.
Vi è inoltre una classe di modelli numerici, chiamati "hydrocodes" (ad esempio CTH, SPH), che sono stati impiegati in modo particolare per il recente impatto della Shoemaker-Levy 9 su Giove. Più specificatamente, Crawford (1997) utilizza CTH per simulare l'impatto, mentre M. Warren, J. Salomon, M. Davies e P. Goda usano SPH. Quest'ultimo è stato pubblicato in Internet, ma attualmente non è più disponibile.
Malgrado le particolari caratteristiche di ciascun modello, sempre si considera l'inizio della frammentazione allorchè la pressione dinamica po anteriormente al meteoroide (punto di stagnazione) supera la resistenza meccanica S del corpo.
Benchè non sia disponibile alcuna osservazione di impatto asteroidale, è possibile fare una comparazione tra questi modelli e le osservazioni di corpi con dimensioni di alcuni metri o decine di metri. Certamente, in questo intervallo, il modello di totale frammentazione si sovrappone al modello di frammentazione esplosiva. Come più volte sottolineato da Ceplecha (1994, 1995, 1996b), le osservazioni indicano chiaramente che i meteoroidi si frantumano a pressioni dinamiche inferiori (10 volte e più) alla loro resistenza meccanica. Tali dati sono stati ottenuti da osservazioni fotografiche e dall'applicazione del modello di totale frammentazione, che può essere molto preciso. In accordo con Ceplecha e altri (1993) è possibile distinguere cinque categorie di resistenza con una corrispondente pressione di frammentazione media (Tabella 1).

Tabella 1: Categorie di resistenza dei meteoroidi. (da Ceplecha e altri, 1993)

Categoria

Intervallo di pfr [MPa]

Media pfr [MPa]

a

p < 0.14

0.08

b

0.14 < p < 0.39

0.25

c

0.39 < p < 0.67

0.53

d

0.67 < p < 0.97

0.80

e

0.97 < p < 1.2

1.10

Per una frammentazione continua i risultati ottenuti indicano anche che il massimo della pressione dinamica è inferiore a 1.2 MPa, ma sono state trovate cinque eccezioni: 4 bolidi che hanno raggiunto 1.5 MPa ed uno che è sopravvissuto a più di 5 MPa (Ceplecha ed altri 1993).
E' altresì molto importante correlare il coefficiente di ablazione s alla pressione di frammentazione pfr, così da poter trovare una relazione tra la composizione del meteoroide e la sua resistenza al flusso dell'aria. Per quanto ne sappiamo, non esiste una dettagliata analisi statistica in materia, ma in un lavoro di Ceplecha e altri (1993) possiamo trovare un grafico realizzato considerando i dati di 30 bolidi (ci riferiamo alla fig. 12 di tale lavoro). Possiamo notare che i corpi pietrosi (tipo I) presentino un ampio intervallo di valori per pfr. Nel caso di oggetti poco resistenti, possiamo vedere che vi sia solamente un bolide cometario (tipo IIIA), ma ciò è dovuto a due fattori: prima di tutto, i corpi cometari sono sottoposti a frammentazione continua, piuttosto che ad una frammentazione discreta in certi punti. Pertanto, non è corretto utilizzare il termine di pressione di frammentazione; dovremmo usare il concetto di massima pressione tollerabile. La seconda ragione è che nei dati vi è un effetto di selezione. Infatti, da studi statistici, Ceplecha e altri (1997) hanno trovato che una grande parte di oggetti con dimensioni comprese tra 2 e 15 metri sono corpi cometari poco resistenti.
Tuttavia, un recente studio ha mostrato che le statistiche provenienti da proprietà fisiche possono condurre a risultati differenti se paragonate con statistiche provenienti dalla evoluzione orbitale (Foschini e altri 2000). Per essere più precisi, i parametri fisici provano che, come indicato in precedenza, una grande parte dei piccoli oggetti nei paraggi della Terra sono corpi cometari poco resistenti, mentre l'analisi dell'evoluzione orbitale indica una marcata componente asteroidale.
Il motivo della presenza di corpi cosmici con pressione di frammentazione molto bassa può essere ricercato ipotizzando che ulteriori fenditure e crepe siano state create da collisioni nello spazio, anche senza giungere alla completa distruzione dell'oggetto cosmico (Baldwin e Shaeffer 1971). Altre spiegazioni potrebbero essere che l'asteroide non sia omogeneo (vedere i commenti del relatore in Ceplecha e altri 1996) o presenti al suo interno degli spazi vuoti (Foschini 1998).
Queste sono ipotesi, interessanti ipotesi, ma ugualmente nessuna di esse è decisiva.

 

4. Casi particolari

Oltre ai dati pubblicati nello studio di Ceplecha e altri (1993) e Ceplecha (1994) intendiamo considerare alcuni casi specifici di bolidi luminosi. In questa sede si darà una breve descrizione rimandando per i dettagli agli studi citati.
Il meteorite di Lost City (3 gennaio 1970), una condrite (H), è stato analizzato da molti autori (McCrosky e altri 1971, ReVelle 1979, Ceplecha 1996a). Il recente studio di Ceplecha (1996a) è particolarmente interessante perché, tenendo conto della rotazione del meteoroide, riesce a spiegare senza errori il movimento in atmosfera. Tranne, naturalmente, la pressione dinamica, che in quella occasione raggiunse il valore di pfr = 1.5 MPa, mentre la resistenza meccanica di un oggetto roccioso è di circa 50 MPa.
Nello studio di ReVelle (1979), è invece possibile trovare dati interessanti in merito ad altri due episodi: Prìbram (7 aprile 1959) ed Innisfree (6 febbraio 1977). In entrambe le circostanze è stato ritrovato un meteorite: rispettivamente una condrite ordinaria ed una L-condrite. In tale studio vengono ricavati i valori per pfr che risultano, nell’ordine, di 9.2 MPa e 1.8 MPa.

Tabella 2: Episodi particolari

Nome

Data

max pfr [MPa]

S [MPa]

Prìbram

7 aprile 1959

9.2

50

Lost City

3 gennaio 1970

1.5

50

Šumava

4 dicembre 1974

0.14

1

Innisfree

6 febbraio 1977

1.8

10

Osservazioni spaziali

15 aprile 1988

2.0

50

Osservazioni spaziali

1 ottobre 1990

1.5

50

Benešov

7 maggio 1991

0.5

10

Peekskill

9 ottobre 1992

1.0

30

Isole Marshall

1 febbraio 1994

15

200

Il bolide di Šumava (4 dicembre 1974) ha raggiunto la magnitudine visuale assoluta di –21.5 ed è stato originato da un oggetto cometario. Ha evidenziato molti brillamenti nel corso della frammentazione continua, terminando ad una altezza di circa 60 km. Il massimo della pressione dinamica era compreso nell’intervallo di 0.025-0.14 MPa, decisamente inferiore alla resistenza meccanica di un oggetto cometario, vale a dire 1 MPa (Borovicka e Spurný 1996).
Il bolide di Benešov (7 maggio 1991) fu veramente atipico e venne analizzato in dettaglio da Borovicka e Spurný (1996) e da Borovicka e altri (1998a, b). Da questi studi si può evincere che si è trattato molto probabilmente di un oggetto roccioso che subì una prima frammentazione ad alta quota (50-60 km) ad una pressione dinamica di circa 0.1-0.5 MPa. Tuttavia, alcuni frammenti compatti furono distrutti ad una pressione di 9 MPa (a 24 km di altezza).
La caduta del meteorite di Peekskill (9 ottobre 1992) è stato il primo di tali eventi registrato da una videocamera (Ceplecha e altri 1996). Il fireball fu più brillante della luna piena e vennero ritrovati 12.4 kg di condrite ordinaria (breccia H6). La disponibilità di una registrazione video ci consente di calcolare, con relativa precisione, l’evoluzione della velocità del meteoroide e, di conseguenza, la pressione dinamica. Si è scoperto che il valore massimo di pfr è stato circa 0.7-1.0 MPa, mentre la resistenza del meteorite è stata stimata prossima a 30 MPa.
In anni recenti, sensori infrarossi collocati in orbita hanno rilevato molti bolidi in tutto il mondo. Nemtchinov e altri (1997) hanno studiato questi eventi impiegando un metodo numerico radiativo-idrodinamico. Hanno simulato tre bolidi brillanti (15 aprile 1988; 1 ottobre 1990; 1 febbraio 1994) ottenendo rispettivamente questi risultati: meteoroide roccioso, pfr = 1.6-2.0 MPa; meteoroide roccioso, pfr = 1.5 MPa; meteoroide metallico, pfr = 10-15 MPa. Per quanto riguarda quest’ultimo, Tagliaferri e altri (1995) sono giunti ad una conclusione leggermente diversa: meteoroide roccioso,  pfr = 9 MPa.
La condizione per cui la frammentazione comincia quando la pressione dinamica raggiunge la resistenza meccanica del meteoroide fu introdotta da Baldwin e Shaeffer (1971), ma è necessario notare che si tratta di una ipotesi. Ora noi abbiamo dati sufficienti, anche se incompleti, per indicare che questa ipotesi non abbia fondamento fisico e sia necessario trovare nuove condizioni per la frammentazione.

 

5. Conclusioni

Solo negli ultimi decenni, ed in particolare negli ultimi anni, il rischio di un impatto ha catalizzato l’attenzione di un numero sempre crescente di studiosi. La valutazione delle frequenze dell’impatto e dei danni vengono ottenute applicando formule empiriche o semiempiriche. Tuttavia noi abbiamo a che fare con dati limitati e talvolta contraddittori. Per esempio, Chapman e Morrison (1994) considerano la frequenza di un impatto tipo-Tunguska una volta ogni 250 anni utilizzando dati provenienti dalla craterizzazione lunare, ReVelle per oggetti analoghi ottiene una frequenza superiore (1 ogni 100 anni) considerando i dati provenienti dagli airburst.
Tuttavia, il problema principale è il meccanismo della frammentazione, che non è ancora chiaro. Dalle osservazioni risulta che la frammentazione si verifica quando la pressione dinamica è inferiore alla resistenza meccanica. Non sappiamo se questo sia dovuto a particolari caratteristiche del flusso ipersonico intorno all’oggetto o a qualche particolare componente del corpo. Tutto ciò che allo stato attuale possiamo dire è che i modelli correnti per la frammentazione di piccoli asteroidi nell’atmosfera terrestre non sono consistenti con le osservazioni. Sono necessari ulteriori dati e nuove teorie per comprendere meglio queste problematiche. E gli airburst possono fornirci utilissime indicazioni per testare le teorie.

 

Ringraziamenti: voglio ringraziare l’Unione Astronomica Internazionale per avermi concesso i fondi necessari per partecipare al Workshop IMPACT di Torino. Alcune idee esposte nel presente studio sono emerse grazie a discussioni con Zdenek Ceplecha nel corso di una visita all’Osservatorio Astronomico Ondrejov: Voglio ringraziare Z. Ceplecha, sua moglie Hana, e gli studiosi di meteore dell’Osservatorio per la loro squisita ospitalità.

 

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