Uno tsunami è costituito da una serie di onde
    oceaniche generate solitamente (ma non solo) da terremoti il cui epicentro si trova sul
    fondale marino o nelle immediate vicinanze e che, dopo aver percorso anche migliaia di
    chilometri attraversando interi oceani, si abbattono come giganteschi muri d'acqua sulle
    coste, distruggendo tutto ciò che incontrano sul loro cammino. 
    Il termine è di origine giapponese - può essere tradotto letteralmente come "onda
    del porto" - e la ragione di tale nome appare in modo lampante proprio se
    consideriamo i terribili effetti che questo evento provova sulle regioni costiere sulle
    quali si abbatte. 
    
      
            | 
         
  | 
       
      
        A sinistra è riportato
        l'ideogramma  giapponese che indica il termine tsunami: nella parte superiore il
        carattere  tsu che significa porto e nella parte
        inferiore il carattere nami, il cui significato è onda. 
        A destra una eloquente immagiune delle devastanti conseguenze dello tsunami del
        1946 a Hilo (Hawaii): è la sede di un circolo politico completamente distrutta
        dall'impeto dell'onda. | 
       
     
    Nel passato, talvolta, il termine è stato tradotto con "onde
    di marea", ma tale traduzione è fuorviante.  E' certamente vero che la
    situazione di alta o bassa marea presente nel momento in cui uno tsunami colpisce può
    influenzare notevolmente la sua azione, ma si tratta di due fenomeni fisici ben distinti e
    assolutamente non correlati.  Il verificarsi delle maree, inoltre, è un evento
    completamente prevedibile in quanto dipende dall'azione gravitazionale del nostro
    satellite, mentre uno tsunami non ha tempi prefissati e scadenze ben precise... 
    A differenza di quanto si verifica per le maree, lo sviluppo di uno tsunami è
    caratterizzato da un tempo di preavviso molto limitato, e questo non fa che aumentare
    notevolmente la pericolosità della sua azione. 
    Un altro termine (impiegato soprattutto nella comunità scientifica) con il quale ci si
    riferiva a questo fenomeno era quello di "onda sismica marina", ma
    anch'esso non è completamente corretto poichè quella sismica è solamente una delle
    possibili origini di uno tsunami. 
    Anche la traduzione con il termine italiano di "maremoto" è, per
    analogo motivo, parzialmente fuorviante, come suggerisce l'etimologia stessa del termine
    che richiama espressamente ad un fenomeno di natura sismica. 
    L'origine di uno tsunami non va, dunque, ricercata solamente in
    fenomeni sismici: in generale si può affermare che qualunque causa in grado di perturbare
    verticalmente una colonna d'acqua sufficientemente grande muovendola dalla sua posizione
    di equilibrio è in grado di originare uno tsunami; dunque possono a pieno titolo
    diventare causa di tsunami anche eruzioni vulcaniche, esplosioni, frane e movimenti
    tettonici sottomarini. 
    A queste cause di origine terrestre ne va aggiunta anche una esterna, costituita dal
    possibile impatto con oggetti cosmici. 
    Proprio per evitare le possibili inesattezze legate ai diversi termini impiegati per
    indicare il fenomeno è stato deciso, nel corso di una convegno scientifico internazionale
    tenutosi nel 1963, di introdurre la parola giapponese "tsunami" quale denominazione
    ufficiale. 
    Uno tsunami è profondamente differente dal comune moto ondoso
    che ha la sua origine nell'azione dei venti in mare aperto e come epilogo il ritmico,
    rilassante - e talvolta poetico - infrangersi delle onde sulla battigia delle coste. 
    Nel classico moto ondoso le onde sono caratterizzate da un periodo (intervallo di
    tempo tra due onde successive) solitamente di 5-20 secondi e da una lunghezza d'onda
    (distanza tra due creste successive) di circa 100-200 metri; le onde di uno tsunami,
    invece, hanno un periodo dell'ordine di un'ora e una lunghezza d'onda che può raggiungere
    anche il valore di alcune centinaia di km. 
    Ma i parametri fisici che più di ogni altro caratterizzano le onde di uno tsunami
    (chiamate anche "shallow-water waves" - onde d'acqua bassa - in quanto la
    loro lunghezza d'onda è di gran lunga maggiore della profondità dell'acqua in cui si
    sviluppano) sono la loro modesta ampiezza (altezza rispetto al piano medio della
    superficie marina) e l'elevata velocità con la quale si propagano in mare aperto. 
    La velocità v di propagazione delle "shallow-water
    waves" è data dalla formula: 
      
    in cui d è la profondità dell'acqua in quel punto e g è l'accelerazione di gravità (9.8 m/sec²). 
    Un semplice calcolo impiegando questa formula ci permette di trovare che, per esempio, in
    un oceano caratterizzato da una profondità di 4000 metri (quale può essere l'Oceano
    Pacifico) un'onda di tsunami si può propagare alla velocità di oltre 710 km/ora: la
    velocità di un aereo. 
    Si diceva che il secondo aspetto che caratterizza queste onde è la loro ridotta ampiezza,
    il cui valore è tipicamente dell'ordine di un metro. 
    Questa particolarità fa sì che esse risultino praticamente "invisibili" per
    qualsiasi imbarcazione che le incroci in mare aperto. 
    
      
          
        Disegno di Pierre Mion  | 
        L'estrema pericolosità di questo fenomeno
        può essere meglio compresa introducendo alcune considerazioni riguardanti l'energia
        trasportata dal moto ondoso. 
        Il tasso di perdita di energia di un'onda è strettamente correlato all'inverso della sua
        lunghezza d'onda e questo comporta che la propagazione di un'onda di tsunami avvenga con
        piccolissime dispersioni, dunque il treno d'onde può percorrere lunghissime distanze
        mantenendo praticamente inalterato il suo carico energetico. 
        E sono proprio l'elevatissimo contenuto energetico delle onde e l'ineluttabilità della
        legge di conservazione dell'energia che trasformano queste onde da piccoli e quasi
        impercettibili movimenti della superficie marina in mare aperto a gigantesche calamità
        naturali nel momento in cui si abbattono violentemente sulle coste. | 
       
     
    Tutto dipende ancora dalla relazione tra la
    velocità e la profondità dell'acqua vista prima. 
    Avvicinandosi alle coste diminuisce la profondità del mare e dunque anche la velocità
    delle onde si riduce, ma questo comporta che, dovendo per necessità fisica rimanere
    costante l'energia, debba aumentare l'ampiezza del moto ondoso, cioè l'altezza delle
    onde. 
     
    La massima altezza cui può giungere un'onda di tsunami
    viene indicata con il termine inglese di "runup" ed il suo valore è
    mediamente circa dieci volte maggiore dell'altezza dell'onda che lo ha originato, ma è
    evidente che tutto è legato all'andamento del profilo batimetrico. 
    Molta importanza nel limitare gli effetti devastanti di uno tsunami hanno, infine, la
    morfologia della costa e la configurazione del terreno (liscio o rugoso, ricco o privo di
    alberi), elementi in grado di rallentare o meno l'impeto dell'acqua che tende ad
    addentrarsi nella terraferma anche per centinaia di metri. 
    Vi è anche la possibilità che uno tsunami non si manifesti subito come la classica
    gigantesca onda che si abbatte sulla costa, ma come un improvviso fenomeno di bassa marea,
    un repentino ritirarsi delle acque fino a lasciare scoperto il fondale marino per decine
    di metri prima che, una dopo l'altra, le numerose ondate che costituiscono lo tsunami si
    abbattano con gigantesca violenza ed elevata velocità su chi, incautamente, si è
    attardato ad osservare lo strano fenomeno. 
     
    L'entità finale dell'evento è, evidentemente, legata in
    modo molto stretto all'energia trasmessa all'oceano dall'evento scatenante: nel caso di
    terremoto, ad esempio, sarà la sua magnitudine a determinare l'ampiezza iniziale del moto
    ondoso. Ma hanno la loro importanza anche altre caratteristiche quali la rapidità delle
    deformazioni del fondo marino, il profilo batimetrico e la profondità del mare nella zona
    dell'epicentro. 
    Nella figura viene illustrato in modo schematico il fenomeno dello tsunami: l'immagine,
    naturalmente, è solamente indicativa e dunque non ha alcuna pretesa di mostrare i
    fenomeni ondosi in scala. L'intento è quello di descrivere la situazione che si viene a
    creare allorché un'onda di tsunami proveniente dal mare aperto si avvicina alla costa, si
    innesca il fenomeno del runup ed una montagna d'acqua si abbatte violentemente sulla
    regione costiera.  
    
      
          | 
        In mare aperto (1) l'onda è caratterizzata da
        una limitata ampiezza. 
        Al diminuire della profondità del fondale (2) si innesca il fenomeno del
        runup (3) ed il muro d'acqua si riversa sulla costa (4)
        spingendosi nell'entroterra. | 
       
     
    
      
        
          Una vista tridimensionale del fenomeno può consentirci di
          comprendere meglio il susseguirsi delle drammatiche fasi finali di uno tsunami. 
          Il disegno è un adattamento di quello riportato nell'articolo Tsunami! di F.I.
          Gonzalez pubblicato sulla rivista Scientific American del maggio 1999.   | 
            | 
         
       
       
     
    Alcuni dati raccolti in occasione dello tsunami che si è
    abbattuto sulle Hawaii nel 1960 a seguito del terremoto del 22 maggio in Cile ci possono
    dare un'idea più concreta della violenza del fenomeno. 
    Il terremoto venne stimato di magnitudine 8.6 ed il suo epicentro fu localizzato al largo
    delle coste del Cile centro-meridionale, ad una profondità di 33 km. 
    I primi effetti devastanti dello tsunami si manifestarono, come è ovvio, sulle coste
    cilene nei minuti immediatamente seguenti alla registrazione del terremoto, ma le onde
    innescate dall'evento stavano ormai propagandosi a grande velocità anche in direzione
    opposta, raggiungendo, circa 15 ore dopo, le coste hawaiane distanti 10.000 km
    dall'epicentro. 
    
      
           | 
        Il porto di Hilo (città
        collocata sulle coste della maggiore delle isole dell'arcipelago hawaiano, a 300 km in
        linea d'aria dalla capitale Honolulu, in direzione sud-est) fu sommerso dall'oceano, che
        si abbatté sulle costruzioni con un fronte d'acqua alto 10.7 metri: un'idea della
        violenza del fenomeno si può avere osservando i supporti dei parchimetri, piegati dalla
        forza dell'onda, ed il desolante spettacolo delle costruzioni abbattute. | 
       
     
    Non si è trattato, però, di un evento assolutamente insolito ed unico:
    nella storia di queste isole, infatti, data la posizione particolarmente esposta, si sono
    verificati spesso tali fenomeni di violenta interazione tra mare e terra e proprio la
    città di Hilo è stata frequentemente interessata da onde di tsunami, tanto da meritarsi
    la reputazione di "capitale dello tsunami" degli Stati Uniti. 
    Lo tsunami più distruttivo nella storia recente di questo arcipelago si è verificato il
    1 aprile 1946, in occasione del terremoto di magnitudine 7.1 con epicentro in Alaska
    (Isole Aleutine); il massimo runup misurato fu di 16.8 metri a Pololu Valley (Big Island),
    con le onde che, in alcune aree, penetrarono per quasi un chilometro nella terraferma. 
    Proprio per ridurre al minimo la perdita di vite umane nell'arcipelago delle Hawaii e nei
    propri territori del Pacifico, gli Stati Uniti hanno attivato, a partire dal 1948, il
    Pacific Tsunami Warning System, un sistema di osservazione e monitoraggio che, combinando
    rilevazioni sismologiche con misurazioni dei cambiamenti del livello dell'acqua in
    stazioni di rilevamento sparpagliate nell'Oceano Pacifico, è in grado di prevedere il
    possibile insorgere di uno tsunami e, in caso di pericolo, lanciare l'allarme per attivare
    le procedure di evacuazione della popolazione. 
    Ma non è sicuramente questa l'unica zona del pianeta in cui uno tsunami può portare il
    suo carico di devastazione, come eloquentemente dimostra quanto è accaduto il 17 luglio
    1998 in Nuova Guinea e come testimoniano i ripetuti episodi che hanno funestato le isole
    del Giappone. 
    Certo è che le Hawaii, con la loro collocazione geografica che le vede immediatamente a
    ridosso della zona sismicamente più attiva dell'intero pianeta, il cosiddetto "anello
    di fuoco" situato nell'Oceano Pacifico, sono fatalmente destinate a sperimentare
    più di ogni altro luogo le conseguenze degli eventi sismici.  |