Vent'anni fa, in questi giorni, l'Italia viveva una delle più intense ondate di gelo del XX secolo. Un'irruzione di aria artica fece sperimentare, soprattutto nell'Appenino tosco emiliano, temperature degne della steppa russa. Il gennaio 1985 è vivo nella memoria non solo per i -23,4 °C a Parma, -22,8 °C a Firenze, -22,0 °C a Piacenza o -21,5 °C a Ferrara, ma anche per la straordinaria nevicata che seguì e che paralizzò Milano.
Le due immagini qui sopra mostrano la straordinaria nevicata del gennaio 1985 a Bellinzago Novarese e sull’Allea di Novara (archivio del quotidiano " Novara Oggi" che ringrazio per la gentile concessione).
Sull'onda dell'anniversario, può essere curioso riepilogare la storia del record mondiale
del freddo. Che prende le mosse dalla città siberiana di Jakutsk dove, il 21 gennaio 1838, fu osservata una
temperatura di -48° Reamur, corrispondenti a -60 °C.
Il 17 marzo 1876, durante una spedizione nell'Artico canadese, la nave "Alert" registrò -77 °F, pari a -60,6 °C: questa
rilevazione però non soddisfaceva le norme dell'allora "International Meteorological Organization" e non fu accettata.
Nel 1885 si stabilì un osservatorio a Verkojansk, nella regione di Jakutsk a nord del Circolo Polare Artico
dove, il 15 gennaio di quell'anno, si andò a -67,1 °C; la località fu definita "polo del freddo dell'ecumene" poiché nessun
altro luogo abitato raggiungeva simili valori.
Tra il 5 e il 7 febbraio 1892 Verkojansk toccò un nuovo minimo; l'americana Monthly Weather Review nel 1958
procedette a un esame critico dei dati, concludendo che la temperatura effettiva sia stata di -67,6 °C.
Nel 1926 il geologo sovietico Sergej Obruchev scoprì un nuovo "polo del freddo" siberiano: si trattava di Ojmjakon
dove, il 6 febbraio 1933, il termometro fece segnare -67,7 °C. A questo proposito nel 1959 uno dei più insigni climatologi
italiani, Mario Pinna, si domandò "che significato possa avere una differenza così esigua, dato che con temperature tanto
basse l'errore che possono portare i termometri è certamente maggiore di 1/10 di grado".
Una diatriba che interessava ormai solo gli specialisti. Con l'Anno Geofisico Internazionale
infatti (1957-1958) gli americani avevano realizzato al Polo Sud geografico la base Amundsen-Scott dove, per la prima
volta, si osservarono temperature inferiori a -100 °F che eccitarono la fantasia del pubblico. Sarebbe lungo il dettaglio,
poiché i record erano quasi quotidiani: basti dire che, il 18 settembre 1957, si scese a -101,9 °F, pari a -74,4 °C.
L'anno dopo però, i sovietici colonizzarono le zone più impervie del plateau e, da quel momento, il record fu affare loro;
si potrebbe anzi affermare che, siccome era stato usurpato in Siberia, andarono a riconquistarselo in Antartide. Dopo un
primato a -78,2 °C alla base di Sovetskaja il 2 maggio 1958, il 15 giugno a Vostok si frantumò una barriera:
-80,7 °C. Qui occorre sottolineare che, qualche mese prima, scienziati sovietici avevano stimato che tale valore fosse un
limite invalicabile. Invece a Sovetskaja, dopo ulteriori record, il 9 agosto il termometro si bloccò a -86,7 °C;
non era finita: il 25 agosto Vostok registrò -87,4 °C. Questo record fu ritoccato due volte, sempre nella stessa
base: il 24 agosto 1960 con -88,3 °C e il 21 luglio 1983 con -89,2 °C che, a oggi,
è la minima temperatura registrata sul pianeta.