L'Antartide è un paradosso e una sfida intellettuale ai fautori del riscaldamento
planetario. A marzo l'International Journal of Climatology ha fatto notare come, nell'ultimo mezzo secolo, la
costa occidentale della Penisola Antartica abbia registrato un incremento della temperatura annua di circa 2,5 °C: il
più elevato sulla Terra.
Gareth J. Marshall, uno degli autori dell'articolo, spiega che tale dinamica è dovuta all'intensificarsi dei
venti caldi verso questa regione.
Il meccanismo ha un nome, SAM (Southern annular mode). Si tratta di un anello di
correnti che soffiano da ovest, nell'unico luogo dove i continenti non ne ostacolano il giro del mondo. Invero, una barriera
c'è: proprio la Penisola Antartica, una lingua di terra che si protende nell'Oceano Pacifico meridionale per circa 1.400
chilometri, attraversata da una catena montuosa che è il prosieguo della dorsale delle Ande. Quando i venti occidentali la
incontrano, danno luogo a una divergenza, piegando a nord e a sud. Negli ultimi decenni si è appunto notato un intensificarsi
del SAM: correnti più vigorose hanno ridotto la superficie glaciale del Mare di Bellingshausen, sulla costa
occidentale della penisola; di conseguenza è diminuito l'
albedo, ovvero la luce solare riflessa dal ghiaccio; più acque libere significano pure maggiore nuvolosità, che in
questo caso rallenta la dispersione del calore.
Insomma, un effetto a catena, che dà luogo anche a un altro fatto: la prevalenza dei venti occidentali ostacola le irruzione
da sud, cioè dalle freddissime regioni del plateau. E qui sta il paradosso: mentre nella Penisola Antartica e nelle
aree adiacenti si è assistito a questo riscaldamento accelerato, nel resto del continente sono calate le possibilità di
scambio termico e, di conseguenza, la temperatura media è scesa. In particolare, nel trentennio 1971-2000, gran parte del
continente, eccetto la Penisola Antartica e qualche settore costiero, ha registrato una diminuzione media di circa
0,25 °C per decennio. Insomma, mentre cresceva l'allarme sul presunto effetto serra e si immaginavano catastrofici aumenti
nel livello degli oceani, i 30,1 milioni di km³ della più grande riserva di ghiaccio terrestre erano ben protetti da questa
inversione climatica.
Tale fase però potrebbe essere a una svolta. Al momento i segnali termici sono contrastanti ma, dal 2002, nelle basi più interne (Amundsen-Scott e Vostok) si notano annate meno rigide. È ancora presto per affermazioni nette, ma esiste una teoria che lo predice: è quella legata alla SAO (Semi-annual oscillation), ovvero una variazione dei campi di pressione che trasporta masse d'aria verso sud a inizio inverno e in primavera, e viceversa a fine inverno e d'estate. Si tratta di un grande regolatore climatico dell'emisfero australe, soggetto però a un andamento ciclico ogni 12 e 30-35 anni. L'ultima volta in cui ciò è avvenuto, le temperature del plateau antartico sono aumentate. In un articolo del 1998 su Antarctic Science, Michiel R. van den Broeke scriveva: "Se questo processo è provato essere ripetitivo e valido per l'intero continente, un accelerato riscaldamento dell'Antartide orientale è da attendersi nel prossimo decennio, comparabile con quello osservato prima del 1975". Cioè, 1 °C in più entro 15 anni.
Questi meccanismi, a cui altri si sommano nella circolazione atmosferica e oceanica, riportano l'attenzione sulla complessità della dinamica climatica, spesso sacrificata a favore di modelli elaborati al computer. I fautori del riscaldamento globale rischiano di sminuire l'interazione delle infinite variabili in gioco (temperatura, vento, umidità, pressione, albedo) per affidarsi a rigide teorie che pretendono di "spiegare" tutto, e che invece finiscono per "piegare" tutto alle emotività del momento e degli uomini.
Si ringrazia Gareth J. Marshall (British Antarctic Survey) per i suggerimenti che hanno permesso la stesura dell'articolo.