Un'eclisse molto relativa

La più influente prova sperimentale del Ventesimo secolo si basò
su dati di modesta precisione ottenuti durante l'eclisse solare del 1919

di Gianfranco Benegiamo

Articolo pubblicato sul n.296 della rivista l'astronomia e qui riproposto a 90 anni dall'importante evento astronomico


Eclisse del 1919


L'eclisse solare del 29 maggio 1919, cui si riferisce questa fotografia ripresa da Arthur Eddington, contribuì alla rapida affermazione della relatività generale di Albert Einstein.


La deviazione dei raggi luminosi da parte del Sole, confermata sperimentalmente durante l'eclisse totale del 29 maggio 1919, contribuì in maniera decisiva all'affermarsi della Teoria della relatività generale. La cosa davvero strana, però, fu che i dati su cui si fondò il successo di una delle più influenti prove sperimentali del Ventesimo secolo avevano una precisione insufficiente, almeno secondo il giudizio fornito più tardi da alcuni ricercatori, per distinguere se la deflessione della luce coincideva con il valore calcolato applicando le leggi della fisica classica dell'epoca oppure quello previsto da Albert Einstein. Pochi e incerti dati sperimentali, pertanto, contribuirono a provare una rivoluzionaria ipotesi gravitazionale e offrirono al suo autore una notorietà mai conosciuta prima da altri scienziati.

Occorre aggiungere che l'anomalia riscontrata nell'orbita di Mercurio, pur costituendo già un solido indizio a favore della relatività, fu in un primo momento sottovalutata perché altre ipotesi potevano giustificare il fenomeno: la più nota chiamava in causa l'esistenza di un ipotetico pianeta, situato tra Mercurio e il Sole, per il quale fu proposto il nome Vulcano. La deflessione della luce, invece, aveva il fascino del fenomeno completamente inatteso e ciò contribuì a segnare il punto di svolta nel processo che portò la relatività generale ad affermarsi pienamente.


Deflessione della luce


Una stella vicina al disco solare appare, per la deflessione gravitazionale della luce, in una posizione leggermente più esterna.


Einstein diventa improvvisamente popolare

La mattina del 7 novembre 1919 Albert Einstein si svegliò a Berlino, dove aveva preso sonno la sera prima come lo sconosciuto direttore quarantenne dell'Istituto di Fisica Kaiser Wilhelm, senza immaginare che da lì a poco sarebbe diventato un personaggio popolare. Il nome dello scienziato tedesco era circolato sino a quel momento tra gli addetti ai lavori nel campo della fisica teorica, soprattutto per le bizzarre conseguenze astrofisiche derivanti dalle sue teorie, ma era completamente sconosciuto al grande pubblico e totalmente ignorato dai mezzi d'informazione.

L'annuncio dato il giorno prima a Londra, nel corso della riunione congiunta di Royal Society e Royal Astronomical Society, riguardante la conferma sperimentale dell'effetto esercitato dal campo gravitazionale sulla direzione di propagazione della luce, fu amplificato dai giornali pubblicati sulle rive opposte dell'Oceano Atlantico che in tal modo consegnarono Einstein alla fama mondiale. Quella stessa mattina, infatti, il quotidiano The London Times intitolava "Rivoluzione nella scienza - Nuova teoria dell'universo" un articolo dedicato al convegno londinese e qualche giorno dopo il New York Times pubblicò sull'argomento uno scritto dal melodrammatico titolo "Luci distorte nel cielo".

L'analisi delle fotografie riprese pochi mesi prima, per determinare come varia la posizione delle stelle più vicine al disco solare durante un'eclisse totale, condizionò il successivo sviluppo della fisica anche se forse poggiava più sulla totale fiducia di Arthur Stanley Eddington nella nuova teoria che sulla reale affidabilità dei dati raccolti.

Rifrazione atmosferica, dilatazione termica del telescopio, distorsioni dell'emulsione fotografica, variazioni di scala tra le lastre impressionate in occasione dell'eclissi e quelle di confronto della medesima regione celeste, solo per rammentare le principali cause di errore, condizionarono notevolmente la precisione delle misurazioni. Riconoscere variazioni intorno al secondo d'arco nella posizione di poche stelle, nonostante le limitazioni imposte dalle tecniche di ripresa impiegate, generò qualche perplessità già all'epoca dei fatti: una distaccata rivisitazione critica, però, arrivò solo parecchi anni dopo e a quel punto la teoria si era oramai pienamente affermata.

La grande fama così conquistata da Einstein contribuì a smorzare sul nascere le critiche dei colleghi e quindi limitò la ricerca di ipotesi fisiche alternative capaci di descrivere altrettanto bene, o forse addirittura meglio, come funziona l'universo. La relatività generale fu successivamente confermata da una lunga sequenza di solidi risultati sperimentali, ma resta comunque il fatto che nel corso di un importante convegno alcuni qualificati relatori usarono misurazioni di modesta affidabilità per confermare la teoria che avrebbe cambiato la storia del Ventesimo secolo. Einstein fu così catapultato, dopo l'annuncio degli astronomi inglesi, dal mondo distaccato della fisica teorica in quello della cultura popolare che ne farà ben presto l'icona dello scienziato geniale e anticonformista.


Albert Einstein


Albert Einstein fotografato a Vienna nel 1921 (cortesia http://www.bhm.ch/).


Radici antiche per la deflessione della luce

Utilizzando la legge di gravitazione universale Isaac Newton riuscì a prevedere il moto dei pianeti attorno al Sole, ma nella lettera del 5 febbraio 1675 indirizzata a Robert Hooke confessò: "Non sono in grado di scoprire le cause di queste proprietà della gravità, partendo dai fenomeni, e quindi non formulo ipotesi". La relatività generale di Einstein invece fornì un modello capace di spiegare, ipotizzando che la massa deforma lo spazio-tempo, perché i pianeti ruotano attorno al Sole. L'idea che i corpi possano esercitare qualche effetto sulla propagazione della luce, però, nasce molti anni prima.

Nell'opera Opticks, pubblicata nel 1704, Newton s'interrogava già circa l'eventualità che gli oggetti deviassero dal loro cammino i raggi luminosi: la sua teoria corpuscolare, infatti, considerava la luce formata da sciami di minuscole particelle materiali e come tali dovevano essere soggette alla forza gravitazionale. Il quesito fu raccolto un secolo dopo da Johann Georg von Soldner, assistente all'Osservatorio di Berlino, per stabilire se il fenomeno rendeva necessario apportare delle correzioni alla posizione nota dei corpi celesti. L'angolo di deflessione in radianti calcolato da Soldner per un corpuscolo luminifero, nella presunzione che la teoria newtoniana della luce fosse corretta, doveva essere pari alla costante di gravitazione universale moltiplicata per due volte la massa dell'oggetto deflettente, diviso per la minima distanza da questo e diviso per la velocità della luce elevata al quadrato. La misura del fenomeno nel caso della radiazione proveniente da una stella tangente il disco solare, secondo un presupposto dimostratosi poi falso perché il fotone è privo di massa, per Soldner risultava pari a 0,8 secondi d'arco e questo valore è generalmente chiamato deflessione newtoniana della luce.

L'energia associata a ogni fotone, però, secondo la celebre formula E=mc2 proposta dal fisico di Ulm, sarebbe equivalente a una massa che per quanto piccola subisce l'attrazione esercitata dai corpi celesti. Lo scritto di Einstein pubblicato nel 1911 sugli Annalen der Physick, intitolato "L'influenza del campo gravitazionale sulla propagazione della luce", contiene la formula necessaria a determinare l'entità del fenomeno e questa da principio coincideva con quella di Soldner. La deflessione della luce, secondo lo stesso articolo, forse poteva essere verificata misurando la posizione delle stelle più vicine al Sole durante la totalità di un'eclisse.

L'accordo tra le conseguenze della meccanica newtoniana e della relatività generale, per l'universo accessibile agli strumenti di quel tempo, risultava tanto elevato da consentire a Einstein di individuare un numero limitato di possibili verifiche sperimentali. Oltre alla deflessione della luce, la nuova teoria avrebbe anche comportato modeste variazioni delle orbite planetarie, tanto maggiori quanto più prossime al Sole, nonché uno spostamento verso il rosso delle righe spettrali presenti nella luce delle stelle.

Einstein tentò di persuadere qualche astronomo a condurre le misurazioni necessarie per verificare la fondatezza delle sue teorie e proprio per questo nell'estate del 1911 incontrò Erwin Freundlich, assistente presso l'Osservatorio Reale di Berlino, al quale chiese di eseguire accurate osservazioni dell'orbita di Mercurio. Freundlich pubblicò poi, contravvenendo alle raccomandazioni ricevute dal direttore dell'Osservatorio dove lavorava, i risultati che davano una prima conferma alle ipotesi di Einstein. Il moto del perielio di Mercurio, eccedente di 43 secondi d'arco quanto stabilito dal modello newtoniano, risultò praticamente identico alle previsioni della relatività. L'anno seguente Einstein scrisse una lettera a George Ellery Hale, direttore dell'Osservatorio di Monte Wilson, per chiedergli se sarebbe stato possibile misurare la posizione delle stelle più vicine al Sole, visibili durante un'eclissi totale, con precisione sufficiente a provare la deflessione della luce.

Una spedizione argentina si recò in Brasile nel 1912 con la finalità di verificare le conseguenze della relatività, ma le cattive condizioni meteorologiche impedirono lo svolgimento delle misure in programma. Due anni dopo un gruppo tedesco, condotto da Freundlich e finanziato dalle industrie Krupp, tentò di raggiungere la Crimea per l'eclissi totale del 21 agosto, ma lo scoppio della Prima guerra mondiale impedì di studiare questa eclissi così come quelle degli anni immediatamente seguenti.

Nel 1915, quando un conflitto senza precedenti stava paralizzando l'Europa intera, Einstein presentò la sua Teoria della relatività generale all'Accademia prussiana delle scienze: la deviazione della luce, fenomeno ancora in attesa di verifica, secondo la nuova ipotesi gravitazionale dipendeva per metà dal campo di attrazione newtoniano e per metà dalla deformazione dello spazio-tempo. I risultati della formula proposta da Einstein qualche anno prima, pertanto, dovevano essere moltiplicati per due.

Ma la variazione subita dalla posizione di una stella, anche raddoppiando la deflessione newtoniana, restava estremamente modesta e diminuiva ulteriormente in misura direttamente proporzionale alla distanza angolare dal Sole. La luminosità della corona, inoltre, rendeva problematico esaminare le regioni più vicine al Sole: una stella ad esempio lontana solo tre raggi dal centro del disco solare, dove migliori sarebbero state le misurazioni, risultava spostata radialmente verso l'esterno per poco più di mezzo secondo d'arco.


Arthur Eddington


Arthur Stanley Eddington considerò subito la relatività generale degna della massima attenzione, indipendentemente dal fatto che la teoria fosse corretta oppure no, in quanto la giudicò uno degli esempi più belli della potenza insita nel ragionamento matematico.


Le bellezza matematica conquista Eddington

Le comunicazioni tra nazioni nemiche erano state interrotte dalla guerra, ma i primi articoli sulla nuova teoria gravitazionale tedesca raggiunsero la neutrale Olanda e da qui il noto cosmologo Willelm de Sitter ne divulgò i contenuti con alcuni scritti in lingua inglese.

Tra i pochi ad apprezzare la relatività al di là della Manica ci fu Eddington, in quel momento forse il più brillante professore dell'Università di Cambridge, che nel 1918 predispose una relazione per divulgare la rivoluzionaria teoria tra i colleghi. Eddington inserì nella prefazione di questo documento la frase: "Indipendentemente dal fatto che la teoria si dimostrerà alla fine corretta oppure no, essa merita attenzione perché rappresenta uno degli esempi più belli della potenza insita nel ragionamento matematico" e ciò spiega con quale predisposizione lo scienziato si dedicherà a interpretare i risultati sperimentali ottenuti durante l'eclisse solare dell'anno seguente.

L'astrofisico Subramanyan Chandrasekhar, diventato più tardi un giovane collega di Eddington, apprese dallo stesso protagonista in quali circostanze maturò il progetto di una spedizione, durante i giorni più bui della guerra, per confermare la deflessione della luce. Secondo questa testimonianza, l'astronomo inglese affermava che già da principio riteneva vera la teoria di Einstein e se fosse dipeso solo da lui forse avrebbe evitato di impegnarsi in prima persona per cercare delle conferme sperimentali. La ricostruzione della vicenda, sempre secondo le confidenze raccolte da Chandrasekhar, assegna una particolare rilevanza al fatto che dopo due anni di guerra il governo inglese decretò la coscrizione di tutti gli uomini validi. Sarebbe stato dunque chiamato a prestare servizio in armi anche l'astronomo, avendo 34 anni in quel momento e godendo di buona salute, ma come devoto appartenente alla comunità quacchera si sarebbe dichiarato obiettore di coscienza.

In quegli anni l'opinione pubblica avrebbe biasimato severamente una scelta del genere: i più influenti colleghi di Eddington all'Università di Cambridge, pertanto, cercarono di fare tutto il possibile per evitare che il prestigio della facoltà fosse offuscato dal fatto che uno dei suoi più stimati professori finisse davanti al tribunale militare. Il fisico, matematico e politico Joseph Larmor, insieme ad altri importanti personaggi, agì con successo presso il Ministero dell'Interno per ritardare quanto più possibile la chiamata alle armi del collega. Le ragioni sostenute da Larmor, per giustificare un rinvio, sottolineavano che i notevoli meriti scientifici avrebbero permesso a Eddington di servire meglio il proprio Paese svolgendo altri incarichi.

Il Ministero inviò una lettera all'astronomo e a questo punto tutto ciò che occorreva fare per evitare il servizio militare, sempre secondo quanto riferito da Chandrasekhar, sarebbe stato apporre una firma e rispedirla al mittente. Il professore di Cambridge, però, aggiunse una nota nella quale affermava che in caso di chiamata alle armi si sarebbe dichiarato obiettore di coscienza. Questa precisazione probabilmente irritò i militari che iniziarono a pensare fosse meglio spedire l'astronomo a "pelare patate" in uno dei campi di prigionia del nord. L'intervento di Frank Watson Dyson, influente Astronomo Reale che per tale incarico aveva stretti rapporti di lavoro con l'Ammiragliato, ottenne un rinvio per consentire a Eddington di organizzare e guidare nel 1919, ammesso che per quella data la guerra fosse terminata, una spedizione destinata a verificare le previsioni di Einstein.


Eclisse solare


Il disegno raffigura la fascia di totalità, estesa lungo l'Oceano Atlantico dal Brasile all'Africa Occidentale, dell'eclisse solare avvenuta il 29 maggio 1919 (cortesia http://sunearth.gsfc.nasa.gov/eclipse/SEplot/SEplot1901/SE1919May29T.GIF).


Le spedizioni per osservare il Sole nero

Secondo i calcoli eseguiti nel marzo 1917 dallo stesso Dyson, la successiva eclisse totale poteva essere particolarmente adatta a verificare la deflessione della luce, nonostante la linea della totalità corresse attraverso l'Oceano Atlantico dal Brasile all'Africa Occidentale, perché il Sole si sarebbe trovato davanti a un campo stellare particolarmente ricco come l'ammasso aperto delle Iadi. Il fallimento dei precedenti tentativi, soprattutto a causa delle avverse condizioni meteorologiche, portò alla decisione di organizzare due spedizioni. La prima guidata da Eddington avrebbe raggiunto l'Isola del Principe, situata davanti alle coste della Guinea, mentre la seconda condotta da Andrew Crommelin, astronomo presso l'Osservatorio di Greenwich, si sarebbe recata a Sobral nel nord del Brasile.

Particolari telescopi e adeguati equipaggiamenti occorrevano per la buona riuscita dell'impresa, ma i fabbricanti di strumenti erano stati richiamati alle armi oppure dovevano costruire le attrezzature richieste con urgenza dall'industria bellica. Praticamente si fece assai poco sino all'Armistizio, firmato il giorno 11 novembre 1918, e una grande concitazione regnò nei pochi mesi che restavano prima della partenza.

Le principali ottiche assegnate alle spedizioni comprendevano due obiettivi astrografici con apertura di circa 25 cm, provenienti dagli Osservatori di Cambridge e Greenwich, realizzati per misurare la posizione delle stelle in aree relativamente ampie di cielo. Gli obiettivi furono adattati ai tubi di acciaio usati per realizzare dei telescopi componibili facili da trasportare. L'attrezzatura destinata al sito di Sobral, inoltre, comprendeva un obiettivo di apertura pari a solo a 10 cm circa che si rivelerà particolarmente prezioso.

Le spedizioni disponevano anche di due celostati, sistemi di specchi utilizzati nelle osservazioni solari, in quanto mancavano dispositivi portatili capaci di guidare i pesanti telescopi durante le riprese e mantenere quanto più possibile puntiformi le immagini delle stelle sulle lastre fotografiche. I tubi di acciaio dovevano avere dimensioni adeguate alla lunghezza focale delle lenti, pari a circa 3,5 metri, risultando per questo motivo piuttosto difficili da movimentare una volta assemblati. Il trucco escogitato per risolvere il problema prevedeva di puntare i telescopi verso i celostati, orientati in maniera da riflettere la luce solare dentro l'obiettivo. Le modeste dimensioni degli specchi, entrambi di diametro intorno 40 cm, consentiva di muoverli con piccoli meccanismi a orologeria.

Nel giugno 1919 la rivista The Observatory riportò il contenuto dei brevi telegrammi trasmessi dalle due spedizioni: quello di Crommelin annunciava "Eclisse splendida", mentre Eddington con disappunto scriveva "Attraverso le nubi. Speranzoso". Il giorno dell'eclisse una spessa coltre di nuvole coprì l'Isola del Principe e violenti scrosci di pioggia disturbarono lo stazionamento delle attrezzature, ma all'avvicinarsi della totalità una schiarita consentì a Eddington di riprendere alcune fotografie dove purtroppo si distinguevano solo poche stelle.

A Sobral, invece, il tempo fu decisamente migliore, ma Crommelin incontrò seri problemi nella messa a fuoco del telescopio. L'elevata escursione termica causò una dilatazione dello strumento con conseguente perdita di definizione delle immagini riprese, ma per fortuna quelle ottenute con il piccolo telescopio risultarono decisamente migliori.

I molti mesi richiesti prima di riuscire a riprendere le stelle presenti nella stessa regione di cielo, inoltre, costrinsero Eddington a rientrare in Inghilterra senza le necessarie fotografie di riferimento.


Spedizioni del 1919


Royal Society e Royal Astronomical Society organizzarono due spedizioni scientifiche per osservare l'eclisse del 1919: una destinata a Sobral, in Brasile, e l'altra all'Isola del Principe che si trova davanti alle coste della Guinea.


Misure ed errori

L'affidabilità dei risultati ottenuti dalle spedizioni fu condizionata soprattutto dalla modesta entità degli scostamenti da misurare: una stella distante due raggi dal centro del disco solare per esempio, considerato che i telescopi principali avevano una lunghezza focale di circa 3,5 metri, a causa della deflessione avrebbe variato la sua posizione sulla lastra fotografica in misura pari a solo 0,01 millimetri!

Le ultime fotografie della sequenza ottenuta all'Isola del Principe mostravano una porzione di cielo abbastanza sgombra di nubi, ma le poche stelle riconoscibili erano sistemate sullo stesso lato del disco solare e ciò costituì un'ulteriore fonte di incertezza. Nonostante tutto ciò Eddington si mostrava ottimista, nella lettera scritta a Dyson nei giorni immediatamente successivi l'eclisse, circa la possibilità di individuare una deflessione della luce più vicina a quanto previsto dalla teoria della relatività che da quella newtoniana. Le misurazioni eseguite sulle lastre fotografiche riprese nell'Isola del Principe, anche se in numero modesto, consentirono a Eddington di stimare in 1,60±0,30 secondi d'arco questa deflessione.

Le stelle presenti sulla maggior parte delle fotografie eseguite a Sobral da Crommelin e C.R.Davidson, invece, erano una dozzina nelle lastre del telescopio di grande apertura e circa la metà in quelle dello strumento minore. Molto scadente risultò la definizione delle immagini prodotte dall'obiettivo principale, mentre i risultati ottenuti con quello di apertura pari a circa 10 cm si rivelarono migliori.

La spedizione si trattenne in Brasile sino alla metà di luglio, per eseguire alcune fotografie di riferimento della medesima regione di cielo interessata dall'eclissi. In questo caso i dati portarono al contrastante risultato di una deviazione pari a 0,93±0,30 secondi d'arco, mentre con lo strumento secondario si ottenne 1,98±0,12 secondi d'arco. Solo quest'ultima misurazione, però, fu presa poi in seria considerazione.

Alcuni scienziati, come ad esempio Ludwig Silberstein, nonostante manifestassero ammirazione per la Teoria della relatività generale, rimasero fortemente scettici di fronte alle conclusioni di Eddington e Dyson. Il grande fisico Hendrik Lorentz, invece, tentò di dare una diversa interpretazione dei risultati ipotizzando che dipendessero dall'estesa atmosfera solare.

I dati raccolti durante le eclissi osservate nei decenni seguenti, nonostante i miglioramenti tecnici nel frattempo sopraggiunti, secondo il commento dato al riguardo dall'astronomo Dennis Sciama nel libro The Phisical Foundation of General Relativity restavano difficili da interpretare perché con essi i ricercatori traevano conclusioni diverse pur esaminando sempre lo stesso materiale. "Si potrebbe sospettare" - aggiungeva ancora Sciama - "che se gli osservatori ignorassero quale fosse il valore atteso, i risultati ricadrebbero in un intervallo più esteso di quello ottenuto. Esistono parecchi casi in astronomia, dove il fatto di conoscere in anticipo la risposta 'corretta' portò a risultati che si dimostrarono poi superare la capacità di risoluzione degli strumenti impiegati".

Nel 1960 Herman Bondi, pur essendo un convinto sostenitore della relatività, aveva ancora valide ragioni per scrivere nel libro The Universe at Large, il seguente parere: "La previsione di Einstein può essere pertanto verificata solo nelle rare occasioni in cui, come durante un'eclisse, alcune stelle luminose si trovano nella direzione del Sole. L'effetto è difficile da studiare, anche quando le circostanze sono particolarmente favorevoli. Le indicazioni sono per la maggior parte a favore della teoria di Einstein, ma sarebbe prematuro dichiarare conclusivi i risultati". Se era prematuro per Bondi esprimere un giudizio definitivo, probabilmente questa cautela sarebbe stata ancora più motivata per Eddington con i pochi e incerti dati a sua disposizione.

La difficoltà di eseguire una precisa misurazione della deflessione gravitazionale della luce fu poi superata utilizzando l'elevato potere di risoluzione del Very Long Baseline Interferometry, per stabilire gli effetti gravitazionali del Sole sulla posizione di radiosorgenti molto distanti e quasi puntiformi come i quasar. Analizzando gli oltre due milioni di posizioni determinate con l'impiego dei radiotelescopi, Clifford M. Will ha evidenziato un rapporto tra la deflessione osservata e quella prevista dalla relatività pari a 0,99992±0,00023 e ciò dimostra che fu ben riposta l'incondizionata fiducia di Eddington nella bellezza matematica della teoria di Einstein.


Gianfranco Benegiamo

Maggio 2009


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Pagina caricata in rete: 8 maggio 2009; ultimo aggiornamento (1º): 8 maggio 2009