Costellazioni e atlanti celesti
di Sara Garzia
(Associazione Friulana Astronomia e Meteorologia)
(Per gentile concessione dell'autore)
Nonostante i passi da gigante compiuti dall'astronomia dai tempi remoti dell'antichità fino ai giorni nostri, la maggior parte delle costellazioni che oggi noi riconosciamo nel cielo sono sostanzialmente le stesse che, molti secoli fa, popolavano le notti degli abitanti dell'antica Grecia.
A ciascuna costellazione, essi avevano associato un personaggio del loro pantheon divino, protagonista di un proprio mito al quale essi affidavano la spiegazione dell'identificazione in una data costellazione. Queste storie sono spesso molto ramificate: ad una versione principale spesso si accompagnano svariate versioni secondarie, che danno del racconto una altra versione o collegano la costellazione ad altri personaggi.
Tuttavia, l'origine delle costellazioni è molto più antica; l'invenzione
di molte delle principali costellazioni - frutto dell'immaginazione umana e non creazioni della
natura - non è da attribuire ai Greci, ma a popoli diversi come i Sumeri, i
Babilonesi o gli Egizi, da cui gli abitanti dell'Ellade ne assimilarono poi le
configurazioni principali.
Non dobbiamo inoltre dimenticare che anche i Cinesi o gli Indiani avevano una
loro tradizione di leggende legate alle costellazioni. Naturalmente però sono stati i
Greci, dai quali poi i Romani assimilarono a loro volta miti e divinità, a
costituire il legame più forte con i tempi moderni, per cui sono le loro leggende ad essere
rimaste vive nel nostro immaginario più che quello dei loro remoti predecessori.
E, in effetti, la serie di miti che lega tra loro i personaggi delle
costellazioni rende il cielo notturno come una specie di immenso libro illustrato in cui
lentamente, notte dopo notte, dei, animali prodigiosi ed eroi squadernano le loro imprese
perpetuando il ricordo delle loro passate epopee.
Certamente, dare un nome alle cose è il modo più naturale di farle proprie; gli antichi avevano
bisogno di trovare delle spiegazioni di ciò che li circondava, e i fenomeni celesti
rappresentavano di sicuro - con la loro immensità e magnificenza - una delle sfide più grandi
alla potente immaginazione dei Greci soprattutto, ma anche delle altre popolazioni.
La necessità di dare ordine alla brillante confusione della notte non
trova però le sue radici solo nella naturale propensione dell'uomo a inventare storie o a
dominare l'ignoto creando punti di riferimento: gli antichi viaggiatori si erano infatti resi
conto che grazie alle stelle essi potevano viaggiare senza smarrirsi in un'epoca in cui i mezzi
di orientamento erano decisamente molto più scarsi rispetto ai giorni nostri.
Che ci si trovasse per mare, in un deserto o in qualche paese sconosciuto, sapere che ad una
data costellazione corrispondeva una direzione precisa significava per i viandanti non smarrire
mai la strada; per i contadini, il sorgere o il tramontare di questi oggetti celesti significava
l'arrivo delle piogge, della siccità o talvolta - come in Egitto - delle benefiche
inondazioni, e queste informazioni erano preziose per loro, che sapevano così di poter iniziare
ad organizzarsi per le semine, le raccolte o l'immagazzinamento di viveri e sementi.
Quello che gli antichi non sapevano è che le figure formate dalle stelle sono solo un effetto ottico; le costellazioni non esistono realmente poiché gli astri che le compongono non sono davvero allineati, ma si trovano a grandissima distanza tra loro, e noi le vediamo vicine solo grazie alla prospettiva. I Greci tuttavia erano convinti di trovarsi di fronte a figure realmente esistenti.
Al giorno d'oggi, considerando anche l'emisfero australe, le costellazioni ufficialmente riconosciute sono 88; esse si sono sviluppate da un iniziale elenco di 48 costellazioni che l'astronomo Tolomeo pubblicò nel 150 d.C. nel suo Almagesto, compendio di tutte le conoscenze astronomiche greche dell'epoca, successivamente rimpolpato dagli oggetti creati successivamente per riempire quelle zone di cielo che erano prive di costellazioni, e in modo particolare la parte australe del firmamento che si trovava al di sotto dell'orizzonte visibile dai Greci.
Questo sistema di costellazioni è molto importante, poiché oggi noi lo utilizziamo ancora, seppur ampliato, e i cartografi europei e arabi si basarono sui suoi disegni per raffigurare le costellazioni, tanto che l'Astronomo Reale John Flamsteed affermò che "tutte le osservazioni sia degli antichi che dei moderni utilizzano le forme delle costellazioni e i nomi delle stelle di Tolomeo così che è indispensabile conformarsi a essi per non rendere incomprensibili le vecchie osservazioni, alterandole o allontanandoci da esse".
Noi non possiamo sapere esattamente quando tali costellazioni furono
inventate anche se, come abbiamo detto, la loro origine è da ricercare nelle terre tra il
Tigri e l'Eufrate, patria della civiltà babilonese (e odierno Iraq). Grazie ad una tavoletta
d'argilla scritta a caratteri cuneiformi sappiamo per certo che, attorno all'VIII secolo a.C.,
i Babilonesi avevano già un sistema organizzato di costellazioni Zodiacali
(ovvero situate in quella parte di cielo attraversata dal Sole, dalla Luna e dai pianeti).
Esse erano molto simili a quelle odierne, ma non coincidono esattamente con esse.
Prima ancora dei Babilonesi, però, furono i Sumeri, che si occupavano dello studio dell'astronomia già in tempi remoti, ad ideare attorno al 2000 a.C. un sistema di costellazioni, poi adottato dai Babilonesi e, in seguito, dagli Egizi.
Per quanto riguarda i Greci, invece, la prima vera testimonianza
scritta di un sistema di costellazioni greche ci viene dall'astronomo Eudosso, vissuto
nel IV sec. a.C.
Eudosso, in contatto proprio con la civiltà egizia, avrebbe da questa assimilato le
costellazioni che poi introdusse in Grecia; i suoi due scritti sull'argomento però
- l'Enoptron (Specchio) e i Phaenomena (Apparenze) - sono andati perduti.
Ci sono pervenuti invece i Phaenomena di Arato (vissuto tra il 315 e il 245 a.C.),
in cui possiamo trovare un elenco delle costellazioni - 47 - conosciute dai Greci antichi.
Tramite il poema di Arato anche i Romani vennero a conoscenza di questo sistema; i Phaenomena furono infatti tradotti più volte in latino, e in particolare un adattamento attribuito a Germanico Cesare (15 a.C.- 19 d.C.) contiene sull'argomento un maggior numero di informazioni rispetta all'originale, segno che i Romani avevano integrato con le loro conoscenze le informazioni giunte dalla Grecia.
Dopo Arato, un altro importante personaggio nella storia delle
costellazioni è lo scienziato e scrittore greco Eratostene (276 - 194 a.C.), autore dei
Catasterismi in cui venivano riportati i racconti mitologici connessi a 42 costellazioni,
con un elenco delle stelle principali di ogni figura. Purtroppo, il libro pervenutoci è solo
un adattamento dell'originale; tuttavia, ulteriori informazioni sono contenute
nell'Astronomia poetica del latino Igino, probabilmente risalente al II secolo
d.C.
Riprendendo le costellazioni indicate da Eratostene, l'autore riferisce però su di
esse molti altri racconti; in seguito, Igino si occupò di nuovo dell'argomento e compose
le Fabulae, un libricino di mitologia generale che, assieme all'Astronomia poetica,
furono utilizzate durante il Medioevo e il Rinascimento come fonte di vari libri - spesso
arricchiti da illustrazioni e disegni.
Autore latino era anche Marco Manilio, che, ispirato dall'opera di Arato, attorno al 15 d.C. compose un libro intitolato Astronomica, più che altro incentrato sull'astrologia ma contenente anche informazioni di carattere mitologico.
Fondamentali sono però le opere di tre autori, non semplici compilatori o scienziati, ma poeti tra i più significativi dell'antichità, che con i loro scritti contribuirono a far arrivare fino ai giorni nostri i racconti dei miti, e in squisite forme artistiche: il latino Ovidio (43 a.C. - 17d.C.), autore delle celebri Metamorfosi che narrano delle trasformazioni dei mitici personaggi in stelle e costellazioni; Apollonio Rodio, greco cantore delle imprese degli Argonauti nel poema Argonautica (III secolo a.C.) e infine Apollodoro, anch'egli greco, che verso il I secolo d.C. compilò un poderoso compendio di miti.
Da costoro ci vengono le versioni complete dei racconti connessi alle
costellazioni. Dopo Tolomeo, l'astronomia greca iniziò il suo declino, mentre il centro
degli studi si spostava verso Baghdad. Furono gli Arabi ad assegnare i nomi a
molte delle stelle più brillanti delle costellazioni - con i quali ancor oggi esse vengono
chiamate.
In seguito, attorno al X secolo, le opere di Tolomeo vennero reintrodotte in Europa
con le invasioni arabe; esse vennero tradotte quindi dall'arabo al latino, per cui oggi noi
abbiamo costellazioni greche che vengono chiamate con nomi latini e le cui stelle hanno invece
denominazioni arabe.
In seguito, con le esplorazioni dell'emisfero australe e la "scoperta"
di un cielo non conosciuto prima dai popoli del Mediterraneo perché sotto il loro orizzonte,
vennero inventate nuove costellazioni che andarono ad aumentare quelle originali di Tolomeo.
In seguito, alla fine del XVII secolo, l'astronomo polacco Johannes Hevelius inventò
altre 11 costellazioni, che andavano a riempire la zona sguarnita - perché priva di stelle
davvero brillanti - attorno al polo, e furono incluse nel suo atlante celeste, il Firmamentum
Sobiescianum (1690).
Sette di queste (i Cani da Caccia, la Lince, la Lucertola, il Leone Minore, lo Scudo, il
Sestante, la Volpe) esistono ancora, mentre le altre quattro (Cerberus, Mons Maenalus, Musca e
Triangulum Minor) sono state ormai abbandonate.
Poiché dare il nome a una costellazione era considerato un mezzo per
immortalare il proprio ricordo, furono molti coloro che vollero cimentarsi in tale attività
tanto che ad un certo punto, all'inizio dell'Ottocento, tra emisfero australe e boreale, si
contavano più di 100 costellazioni - come testimoniano le illustrazioni della bellissima
Uranographia di Johann Elert Bode.
Ci si accorse ben presto di avere esagerato; un simile affollamento più che portare ordine
generava una grossa confusione, aumentata dal fatto che non erano ancora stati definitivamente
decisi confini standard tra i vari raggruppamenti stellari: le linee di demarcazione tra le
varie costellazioni variavano infatti da atlante ad atlante.
Il problema fu risolto nel 1922 nel corso di una riunione dell'
International Astronomical Union (I.A.U.) che fissò definitivamente il numero delle
costellazioni accettate ad 88 e ne tracciò i confini precisi e tutt'oggi adottati nei
moderni atlanti stellari.
Il risultato di queste decisioni prese corpo nel 1930 nel libro dell'astronomo francese Eugene
Del Porte: Delimitation Scientifique del Costellations (Delimitazione scientifica
delle costellazioni).
Già in passato, comunque, erano comparsi vari atlanti celesti che, a seconda delle conoscenze dell'epoca, raffiguravano il cielo con le sue costellazioni. Alcune di queste carte sono delle autentiche opere d'arte, illustrate con bellissime raffigurazioni che mostrano i personaggi mitologici nelle pose in cui la tradizione da secoli li immagina.
Le prime carte celesti in realtà non erano raffigurate su carta, ma
su superfici sferiche che rappresentavano le stelle alla rovescia, cioè non come le vediamo
noi da una prospettiva terrestre, ma come le vedrebbe Dio dai cieli.
Il primo mappamondo di questo tipo sembra risalire al II secolo d.C., e fa parte di una scultura
che ritrae Atlante con la sfera celeste sulle spalle; quest'opera viene chiamata
Atlante Farnese, poiché fu acquistata dal cardinale Alessandro Farnese, poi papa Paolo
III (XVI sec.).
A sua volta, l'Atlante pare essere una copia di un esemplare
greco risalente al III secolo a.C. Questo ci darebbe l'idea di come gli antichi Greci
rappresentavano le figure delle costellazioni.
Nel periodo medievale (a partire dal IX secolo), venne introdotto dagli
Arabi il primo prototipo della carta celeste piatta, in due dimensioni: essi infatti
idearono gli astrolabi, dischi di ottone su cui venivano riportate le posizioni degli
astri più luminosi, necessari per orientarsi durante le navigazioni.
All'anno 940 risale finalmente la prima vera e propria carta celeste da noi conosciuta: si
tratta del manoscritto orientale Thuanung che però riporta le costellazioni ideate dai
Cinesi, per noi sconosciute. Rispetto a quelle della tradizione occidentale, infatti,
le costellazioni cinesi - che erano in tutto 283, per un totale di 1464 stelle descritte,
e si riferivano ad aspetti della vita cinese piuttosto che a miti come le nostre - sono più
piccole e sono formate da un numero minore di astri.
Una delle prime carte celesti di grande valore artistico, oltre che
scientifico, fu creata dall'artista tedesco Albrecht Dürer, che realizzò nel 1515 una
carta dei cieli incidendo due tavole di legno: sulla prima, egli aveva raffigurato lo zodiaco
e le costellazioni a nord di esso, mentre sulla seconda le costellazioni a sud della zona
zodiacale, rifacendosi all'elenco stilato da Tolomeo. I quattro vertici della carta
del nord sono ornati dai ritratti di Arato, Manilio, Tolomeo e Al Sufi, gli
astronomi greci, latini e arabi a cui Dürer si rifaceva. La carta del sud è caratterizzata
dalla mancanza di costellazioni attorno al polo sud celeste; l'emisfero australe sarebbe stato
sistematicamente esplorato a partire dalla fine del XVI secolo, e solo allora fu possibile
creare le costellazioni di un cielo prima sconosciuto.
Nelle sue carte, Dürer raffigurò le costellazioni alla rovescia, poiché, per tradizione
antica, esse venivano disegnate come se fossero viste dal punto di osservazione di Dio, ovvero
da dietro le stelle stesse.
Nel 1603 comparve l'Uranometria, il grande atlante stellare
realizzato dall'avvocato tedesco Johann Bayer. La catalogazione delle stelle aveva fatto
progressi dall'epoca di Dürer, cosicché l'Uranometria è più accurata delle carte
precedenti; l'atlante dedica una carta a ciascuna delle 48 costellazioni di Tolomeo e
riportò le posizioni delle stelle individuate dall'osservatore Tycho Brahe.
Erano riportate anche le nuove costellazioni del cielo australe, che vennero raffigurate per
la prima volta nel 1598 dall'olandese Petrus Plancius. Ciascuna delle carte, incise da
Alexander Mair, è in sé una vera e propria opera d'arte; l'importanza dell'Uranometria
risiede però anche nel fatto che in essa, per la prima volta, le stelle vennero indicate con
le lettere dell'alfabeto greco, così come siamo soliti a fare anche ai giorni nostri.
Qualche anno dopo la comparsa dell'atlante di Bayer, grazie
all'invenzione del telescopio si poterono descrivere con grande precisione molte più stelle
rispetto ai tempi passati; tuttavia l'astronomo polacco Johannes Hevelius, autore di
un catalogo stellare e di un atlante chiamato Firmamentum Sobiescianum (1690), volle
continuare a fare le sue osservazioni ad occhio nudo temendo che le lenti dei telescopi
provocassero distorsioni ottiche.
Il Firmamentum, risultato di queste sue osservazioni, contiene le posizioni di circa
1500 stelle ed è inciso dallo stesso Hevelius, che però raffigurò le costellazioni
alla rovescia.
Nel XVIII secolo l'Astronomo Reale John Flamsteed, che operava presso l'Osservatorio di Greenwich, catalogò in modo molto preciso quasi 3000 stelle e pubblicò i risultati nel 1725 nell'Historia Coelestis Britannica, a cui fece seguito, qualche anno dopo, l'Atlas Coelestis che raccoglieva 25 carte celesti basate sulle osservazioni di John Flamsteed. Ogni figura era scrupolosamente raffigurata secondo la descrizione che ne aveva dato Tolomeo.
Infine, abbiamo lo splendido Atlante celeste di Bode, cui abbiamo sopra accennato. Esso fu il primo a rappresentare tutte le stelle che si potevano effettivamente osservare ad occhio nudo (circa 17.000), basandosi sulle osservazioni di Lacaille, John Flamsteed, Lalande e sulle proprie. Le costellazioni da lui raffigurate sono più di cento.
Dopo Bode, si perso sempre più la tradizione di incidere atlanti così artisticamente belli, preferendo puntare di più sui parametri, come la posizione e la luminosità, che descrivevano scientificamente piuttosto che artisticamente le stelle.
Bibliografia: Ian RIDPATH, Mitologia delle costellazioni
Siti Internet utili:
http://www.rareprintsgallery.com/Cartography/Bode/bode.htm
http://www.brera.unimi.it/HEAVENS/ATLAS/hevelius.html
http://www.astro.uiuc.edu/~kaler/sow/aatlas.html
http://www.fys.ruu.nl/~vgent/celestia/celestia.htm