NOTIZIARIO

ANNO VII - NUMERO 21
2° TRIMESTRE 1999


OSSERVAZIONE CCD DELLE COMETE
(1A PARTE)

di Giannantonio Milani
Responsabile della sezione Comete dell'U.A.I.

Pubblicato sulla rivista Astronomia U.A.I.
Per gentile concessione dell'autore e dell'editore.

  Introduzione

La tecnica CCD offre oggi enormi potenzialità nel campo dell'osservazione delle comete, consentendo d'ottenere dati di grande interesse da un punto di vista scientifico ed ampliando considerevolmente le possibilità degli astronomi dilettanti.

Visualmente, infatti, è assai arduo effettuare osservazioni di comete oltre la magnitudine 11-12, anche con strumenti relativamente grandi e condizioni di cielo ottimo, mentre il limite della fotografia è dato principalmente dalla difficoltà d'inseguimento a lunga posa (soprattutto con grandi strumenti).

Il CCD, grazie alla sua elevata efficienza quantica, permette di registrare comete, anche deboli, con pose di pochi minuti congelandone il movimento. Se il moto proprio è molto elevato c'è sempre la possibilità di sommare le immagini aggirando così l'ostacolo.

Inoltre, la possibilità di valutare immediatamente il risultato dell'esposizione e di effettuare subito misure ed elaborazioni, offre un gran numero di possibilità. Alla luce di tutto ciò potrebbe sembrare che i CCD costituiscano un facile rimedio a tutti i mali dell'astronomia amatoriale.

E' vero che ottenere un'immagine è relativamente facile rispetto alla tecnica fotografica ma è in realtà meno semplice di quanto si crede ricavare immagini utili per scopi scientifici, per lo meno in alcuni settori.

Trattandosi di una tecnica giovane non è stato ancora adottato, a livello amatoriale, un protocollo di lavoro che consenta di ottenere dati uniformi sfruttando al meglio le possibilità offerte dai diversi strumenti. Con questo breve scritto si cercherà di colmare almeno in parte questa lacuna, tracciando alcune linee guida utili per tutti coloro che desiderino dedicarsi all'osservazione scientifica delle comete con mezzi non professionali.

La scelta di strumenti, tecniche e filtri cade in un ambito appetibile a molti astronomi dilettanti sia che operino singolarmente che in piccoli gruppi. Non tratteremo in questa sede d'astrometria, se non come accenno, essendo un campo che già ha notevoli consensi in ambito nazionale ed internazionale.

Il G.I.A., Gruppo Italiano Astrometristi, riunisce in modo informale gli osservatori che operano da molti anni con successo in diretto contatto con il Minor Planet Center (M.P.C.) con metodologie ampiamente collaudate. Chi è interessato a questo campo trova quindi già ampi riferimenti.

D'altra parte la natura stessa delle osservazioni astrometriche richiede che i dati siano trasmessi il più rapidamente possibile all'M.P.C., e costituire una vera e propria sezione che funga da centro di raccolta sarebbe non solo inutile ma anche dannoso, rallentando inutilmente l'afflusso dei dati.

L'osservazione amatoriale a livello astrometrico sta portando, di fatto, un grandissimo contributo in campo professionale. Grazie agli astronomi dilettanti l'M.P.C. è, infatti, in grado di calcolare al massimo nel giro di qualche giorno gli elementi orbitali delle nuove comete scoperte; la quantità e qualità delle osservazioni è tale che a volte a poche ore dalla scoperta sono già disponibili degli elementi orbitali provvisori.

Come si può comprendere è una attività di primissimo piano che tra l'altro vede l'astronomia non professionale italiana ai primi posti nel mondo. Gli interessati alle osservazioni astrometriche possono quindi prendere contatto direttamente con uno dei molti osservatori che operano nel settore in tutto il territorio nazionale e potranno facilmente avere un supporto per intraprendere questa attività.

Altri tipi di ricerca, come ad esempio le osservazioni mirate a ricavare dati fotometrici, possono invece trarre vantaggio da un coordinamento tra gli osservatori anche in vista di una collaborazione con alcuni astronomi professionisti italiani specialisti nel settore.

Un costante contatto tra gli osservatori sarà senz'altro fondamentale per seguire con assiduità gli oggetti più interessanti concentrando se necessario l'attenzione su particolari aspetti.

Ottenere dati utili da un punto di vista fotometrico presenta certamente un grado di complessità maggiore, e questo limita le possibilità operative; tuttavia con un minimo d'esperienza è possibile produrre osservazione d'altissimo livello. A questo proposito è bene rilevare che gli astrofili hanno un grandissimo vantaggio rispetto al mondo professionale: possono osservare il cielo quando e come vogliono.

Sono quindi pronti a riprendere immediatamente una cometa appena scoperta o a registrare fenomeni insoliti e improvvisi. Nel mondo professionale la necessità di pianificare per tempo le osservazioni con i diversi strumenti impone agli astronomi di prenotare con largo anticipo le notti ai telescopi; la possibilità o meno di poter osservare comete appena scoperte o fenomeni peculiari con la strumentazione più adatta è quindi piuttosto casuale. Solo in rari casi, come per la Kohoutek nel 1973, la Halley nel 1985/86 e in anni recenti con la Hale-Bopp il mondo professionale ha avuto a disposizione il tempo di programmare con cura le campagne d'osservazione.

  Lo strumento

Per intraprendere l'osservazione CCD di una cometa non è indispensabile disporre di un grande strumento, anche telescopi di modeste dimensioni e a volte anche semplici teleobiettivi possono essere adatti allo scopo. I sensori CCD, infatti, grazie alla loro elevata efficienza quantica, consentono di raggiungere magnitudini limite piuttosto spinte anche con piccole aperture.

Il vantaggio è ancora maggiore osservando oggetti animati da un elevato moto proprio. Con strumenti amatoriali di apertura medio-grande (30-40 cm.) è oggi teoricamente possibile osservare quasi tutte le comete visibili nel corso dell'anno, raggiungendo oggetti anche di magnitudine integrata superiore alla 17, e già con un classico 20 cm. è possibile osservare comete fino alla magnitudine 14-15. Il campo di indagine è quindi teoricamente vastissimo.

In linea generale, poiché si tratta di osservare oggetti estesi, un Newton è preferibile ad un Cassegrain per il maggiore campo inquadrato; un riduttore di focale può in ogni caso risolvere in parte il problema.

Vale in ogni caso la regola di cercare di non appesantire troppo la configurazione ottica: dato il modesto campo inquadrato non c'è ad esempio la necessità di utilizzare correttori di coma e meno elementi (specchi, lenti, filtri...) ci sono lungo l'asse ottico meglio è; la quantità di luce a disposizione è sempre poca e si ha tutto il vantaggio a ridurre al minimo le perdite per riflessioni e assorbimento.

I CCD hanno una risposta spettrale molto ampia e l'introduzione di elementi rifrangenti eccessivamente complessi potrebbe in alcuni casi portare anche un certo grado di cromatismo.

Il ccd

Il CCD da utilizzare per le osservazioni deve essere del tipo senza antiblooming (o per lo meno deve essere possibile poterlo disinserire) e preferibilmente essere dotato di una regolazione della temperatura di raffreddamento.

I CCD senza antiblooming oltre ad avere una maggiore sensibilità hanno una risposta lineare, condizione essenziale sia per effettuare della buona fotometria, sia per estrarre il massimo dei dettagli dalla chioma.

L'antiblooming ha il pregio di fornire immagini esteticamente migliori ma più difficilmente utilizzabili da un punto di vista scientifico; oltre ad una minore efficienza quantica viene anche appiattita la dinamica nelle zone più luminose rendendo più difficile evidenziare strutture a basso contrasto nell'interno della chioma di comete luminose.

La risposta più o meno lineare è data dall'insieme del sensore CCD e della relativa elettronica (incluso il convertitore analogico digitale) è opportuno effettuare un test per valutare quanto sia lineare la risposta della nostra camera.

E' sufficiente riprendere una superficie qualsiasi (ad es. una parete illuminata) con pose crescenti e misurare il valore in ADU corrispondente, avendo l'accortezza di misurare sempre lo stesso pixel, o l'identico gruppo di pixels.

Dovremmo trovare che il livello del segnale (in ADU) è proporzionale al tempo di posa; l'operazione va effettuata a temperatura costante.

Riportando in un grafico i punti corrispondenti si dovrebbe ottenere con buona approssimazione una retta.

I sensori migliori montati su camere professionali vengono generalmente garantiti con una linearità dell'1%-2%; se disponiamo com'è probabile di un CCD non professionale sarà ragionevole attendersi un valore un po' più elevato (anche 3%-5%) che in ogni caso è più che accettabile per i nostri scopi.

Dalle misure, volendo, può essere sottratto il contributo dovuto alla relativa corrente di buio (dark), ma poiché questo è proporzionale al tempo d'esposizione, incide solamente sulla pendenza della retta che tracciamo e non sulla sua linearità.

Questa correzione non è quindi essenziale per effettuare una valutazione. Ovviamente l'ideale sarebbe di disporre di una sorgente luminosa stabilizzata, ma considerato che per il momento il nostro test ha il solo scopo di prendere maggiore confidenza con le prestazioni della nostra camera CCD, potremo accontentarci di una qualsiasi lampada, a patto che la linea di rete non sia soggetta ad eccessivi sbalzi di tensione.

Generalmente la perdita di linearità si ha soprattutto avvicinandosi al livello di saturazione; per scopi fotometrici quindi, come criterio generale, conterremo l'esposizione in modo che gli oggetti da misurare (cometa e stelle) non cadano mai in questa zona. Avremo in ogni modo a disposizione una buona parte della dinamica del CCD.

Le dimensioni del chip non sono critiche, nel senso che sebbene sia preferibile uno di grandi dimensioni, anche utilizzandone uno piccolo è possibile ottenere risultati di tutto rispetto.

Per inquadrare un campo maggiore si può giocare sulla lunghezza focale. Un CCD piccolo, se da un lato è svantaggioso, dall'altro ha il pregio di produrre files di minori dimensioni, più facili da gestire ed archiviare.

Con focali corte le immagini stellari possono tuttavia risultare troppo piccole perché consentano misure fotometriche accurate; il rimedio è semplicemente quello di sfuocare leggermente le immagini in modo che una stella abbracci almeno 2-3 pixels; la posizione di sfocatura va ovviamente mantenuta costante per tutte le riprese.

Pretrattamenti

Le immagini CCD ottenute dovranno essere corrette per la corrente di buio (dark frame) e per il flat field. Preferibilmente sia il dark frame che il flat field utilizzati nel pre-trattamento devono essere ricavati dalla media di più immagini; il flat field a sua volta deve essere corretto per il rispettivo dark prima di essere utilizzato per trattare l'immagine.

Nelle camere dotate di controllo della temperatura ottenere una buona correzione della corrente di buio non è un'operazione complessa: basta riprendere una sequenza d'esposizioni ad otturatore chiuso (identiche in durata a quelle fatte sulla cometa) ed effettuare una media o una mediana.

Il dark va poi sottratto da ciascuna immagine; il flat field rimane invece l'operazione più critica.

Per ottenerlo si può riprendere il fondo cielo al crepuscolo (non devono essere visibili le stelle!) o uno schermo uniformemente illuminato; un doppio schermo di plexiglass opalino davanti all'obiettivo o semplicemente uno schermo bianco (uno schermo da diapositive o un foglio di carta bianca possono servire allo scopo).

Per valutare la qualità del flat field si può effettuare uno stretching: dovrebbero immediatamente essere visibili delle immagini circolari più o meno grandi che riproducono il profilo delle ottiche in negativo (specchio primario e secondario nei riflettori).

Queste vengono prodotte dai grani di polvere che si trovano sul cammino ottico (specchi, lenti, filtri, finestra ottica della camera...) e si formano per un meccanismo analogo e complementare a quello del foro stenopeico (dove però vengono prodotte immagini positive).

Al di la dell'utilizzo di un file ricavato da una media di più files, e della relativa correzione per il dark, l'immagine di flat field finale non dovrà subire alcun tipo di modifica o elaborazione.

Le immagini cometarie, alle quali è stato già sottratto il rispettivo dark, dovranno essere divise per il flat field finale così ottenuto, dopo di che saranno pronte per essere processate.

Dato che per scopi fotometrici è necessario raggiungere un discreto rapporto tra segnale e rumore può essere conveniente sommare più esposizioni oppure, se il rapporto è già buono, in alcuni casi mediarle.

Fotometria

La fotometria di comete, intesa come misura della magnitudine integrata della chioma, viene per tradizione effettuata da secoli mediante tecniche visuali, soprattutto da parte di astronomi non professionisti.

Come già accennato però il limite della tecnica visuale è dato dalla difficoltà di stimare comete più deboli della magnitudine 9-10, anche utilizzando strumenti relativamente grandi.

Fotograficamente il limite potrebbe essere teoricamente esteso di molto ma la difficoltà di inseguire oggetti deboli e di riprendere poi una sequenza di stelle di confronto con lo stesso tempo di posa e stesse condizioni di cielo rende la cosa assai complessa e il più delle volte impraticabile.

L'uso di pellicole inoltre è critico per la scelta della combinazione filtro/pellicola, tempo di esposizione, sviluppo e per la calibrazione finale in quanto le emulsioni fotografiche sono lineari (o quasi lineari) solo per un intervallo di densità limitate. Per questo motivo troviamo pochissimi casi di fotometria ottenuta con questa tecnica.

Il CCD da questo punto di vista è molto più versatile sia nella ripresa sia in fase di riduzione dati.

Ionsidereremo in questa sede diversi tipi di fotometria sia a larga banda che con filtri interferenziali. La fotometria a larga banda della chioma ha lo scopo di determinare la magnitudine totale della cometa (analogamente a quanto viene fatto visualmente) o in alcuni casi di misurare la luminosità superficiale della coda nelle riprese a largo campo. Scopo principale di questo tipo di osservazioni è quello di effettuare un monitoraggio delle diverse comete, esteso anche ad oggetti deboli.

I filtri standard del sistema UBVRI, di uso comune in campo astronomico, sono stati ideati per lo studio stellare che presenta problematiche differenti rispetto al campo cometario. Una cometa ha infatti uno spettro assai diverso da quelli stellari, dominato in parte da una componente continua (spettro solare riflesso dalle polveri) alla quale si sovrappongono emissioni gassose, alcune delle quali generalmente molto intense.

Nelle riprese effettuate senza l'uso di filtri le diverse componenti appaiono sovrapposte e non si ha alcuna selezione neppure per distinguerle anche in modo approssimativo. Va da se che l'informazione scientifica contenuta nelle immagini effettuate in luce integrale è generalmente piuttosto scarsa.

Le cose migliorano un po' con l'uso di filtri standard UBVRI, i quali, pur non essendo molto selettivi, isolano regioni spettrali ben definite ponendo in evidenza le componenti che in quella regione sono più intense: il filtro U è centrato sull'emissione del CN, la più intensa emissione gassosa della chioma ai margini del visibile, oltre a comprendere alcune emissioni della coda; il filtro rileva soprattutto le emissioni della coda dovute al CO+, oltre ad alcune rilevanti emissioni della chioma; il V è dominato dall'emissione del C2, solitamente la più intensa nella chioma assieme a quella del CN; i filtri R ed I cadono in una regione spettrale mediamente meno ricca di emissioni gassose e quindi tendenzialmente pongono in maggiore evidenza la componente polverosa, che comunque è presente a tutte le lunghezze d'onda.

Considerando comunque la sola determinazione della magnitudine totale della chioma non è strettamente necessario porsi in un sistema standard (filtro per la banda V) per produrre dati in qualche modo confrontabili con quelli visuali ed è possibile operare semplicemente senza filtri con l'accortezza di utilizzare come confronto delle stelle di tipo solare (spettro G0V), considerandone la magnitudine V.

In questo modo si ha il vantaggio di un miglior rapporto segnale/rumore e si raggiunge una magnitudine limite più spinta.

Questa approssimazione diviene ancora più lecita se consideriamo che l'interpretazione delle curve di luce basate sulla magnitudine totale della chioma (sia visuali che CCD) è spesso alquanto ambigua non essendo possibile discriminare con precisione le cause delle variazioni luminose.

Salvo casi particolari nei quali i filtri standard UBVRI possono essere di una qualche utilità è quindi preferibile osservare senza filtri.

Dovendo programmare l'acquisto di filtri per specifico uso cometario è conveniente orientarsi verso i filtri interferenziali a banda stretta.

Gennaio 1999

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© Copyright 1999 di Giannantonio Milani (testo); adattamento web di Lucio Furlanetto

Pagina caricata in rete: 14 ottobre 1999; ultimo aggiornamento (2°): 25 febbraio 2000