di Giannantonio Milani
Pubblicato sulla rivista Astronomia U.A.I.
Per gentile concessione dell'autore e dell'editore.
La tecnica CCD offre oggi enormi potenzialità nel campo dell'osservazione
delle comete, consentendo d'ottenere dati di grande interesse da un punto di vista scientifico
ed ampliando considerevolmente le possibilità degli astronomi dilettanti.
Visualmente, infatti, è assai arduo effettuare osservazioni di comete
oltre la magnitudine 11-12, anche con strumenti relativamente grandi e condizioni di cielo ottimo,
mentre il limite della fotografia è dato principalmente dalla difficoltà d'inseguimento a lunga
posa (soprattutto con grandi strumenti).
Il CCD, grazie alla sua elevata efficienza quantica, permette di
registrare comete, anche deboli, con pose di pochi minuti congelandone il movimento.
Se il moto proprio è molto elevato c'è sempre la possibilità di sommare le immagini aggirando
così l'ostacolo.
Inoltre, la possibilità di valutare immediatamente il risultato
dell'esposizione e di effettuare subito misure ed elaborazioni, offre un gran numero di
possibilità.
Alla luce di tutto ciò potrebbe sembrare che i CCD costituiscano un facile rimedio a tutti i
mali dell'astronomia amatoriale.
E' vero che ottenere un'immagine è relativamente facile rispetto alla
tecnica fotografica ma è in realtà meno semplice di quanto si crede ricavare immagini utili
per scopi scientifici, per lo meno in alcuni settori.
Trattandosi di una tecnica giovane non è stato ancora adottato, a livello
amatoriale, un protocollo di lavoro che consenta di ottenere dati uniformi sfruttando
al meglio le possibilità offerte dai diversi strumenti.
Con questo breve scritto si cercherà di colmare almeno in parte questa lacuna, tracciando alcune
linee guida utili per tutti coloro che desiderino dedicarsi all'osservazione scientifica
delle comete con mezzi non professionali.
La scelta di strumenti, tecniche e filtri cade in un ambito appetibile
a molti astronomi dilettanti sia che operino singolarmente che in piccoli gruppi.
Non tratteremo in questa sede d'astrometria, se non come accenno, essendo un campo che già ha
notevoli consensi in ambito nazionale ed internazionale.
Il G.I.A., Gruppo Italiano Astrometristi, riunisce in modo
informale gli osservatori che operano da molti anni con successo in diretto contatto con il
Minor Planet Center (M.P.C.) con metodologie ampiamente collaudate.
Chi è interessato a questo campo trova quindi già ampi riferimenti.
D'altra parte la natura stessa delle osservazioni astrometriche richiede
che i dati siano trasmessi il più rapidamente possibile all'M.P.C., e costituire una vera e
propria sezione che funga da centro di raccolta sarebbe non solo inutile ma anche dannoso,
rallentando inutilmente l'afflusso dei dati.
L'osservazione amatoriale a livello astrometrico sta portando, di fatto,
un grandissimo contributo in campo professionale.
Grazie agli astronomi dilettanti l'M.P.C. è, infatti, in grado di calcolare al massimo nel
giro di qualche giorno gli elementi orbitali delle nuove comete scoperte; la quantità e qualità
delle osservazioni è tale che a volte a poche ore dalla scoperta sono già disponibili degli
elementi orbitali provvisori.
Come si può comprendere è una attività di primissimo piano che tra
l'altro vede l'astronomia non professionale italiana ai primi posti nel mondo.
Gli interessati alle osservazioni astrometriche possono quindi prendere contatto direttamente
con uno dei molti osservatori che operano nel settore in tutto il territorio nazionale e
potranno facilmente avere un supporto per intraprendere questa attività.
Altri tipi di ricerca, come ad esempio le osservazioni mirate a ricavare
dati fotometrici, possono invece trarre vantaggio da un coordinamento tra gli osservatori anche
in vista di una collaborazione con alcuni astronomi professionisti italiani specialisti nel
settore.
Un costante contatto tra gli osservatori sarà senz'altro fondamentale per
seguire con assiduità gli oggetti più interessanti concentrando se necessario l'attenzione
su particolari aspetti.
Ottenere dati utili da un punto di vista fotometrico presenta certamente
un grado di complessità maggiore, e questo limita le possibilità operative; tuttavia con un
minimo d'esperienza è possibile produrre osservazione d'altissimo livello.
A questo proposito è bene rilevare che gli astrofili hanno un grandissimo vantaggio rispetto al
mondo professionale: possono osservare il cielo quando e come vogliono.
Sono quindi pronti a riprendere immediatamente una cometa appena scoperta
o a registrare fenomeni insoliti e improvvisi.
Nel mondo professionale la necessità di pianificare per tempo le osservazioni con i diversi
strumenti impone agli astronomi di prenotare con largo anticipo le notti ai telescopi; la
possibilità o meno di poter osservare comete appena scoperte o fenomeni peculiari con la
strumentazione più adatta è quindi piuttosto casuale.
Solo in rari casi, come per la Kohoutek nel 1973, la Halley nel 1985/86 e in anni recenti con
la Hale-Bopp il mondo professionale ha avuto a disposizione il tempo di programmare con cura
le campagne d'osservazione.
Per intraprendere l'osservazione CCD di una cometa non è indispensabile
disporre di un grande strumento, anche telescopi di modeste dimensioni e a volte anche semplici
teleobiettivi possono essere adatti allo scopo.
I sensori CCD, infatti, grazie alla loro elevata efficienza quantica, consentono di raggiungere
magnitudini limite piuttosto spinte anche con piccole aperture.
Il vantaggio è ancora maggiore osservando oggetti animati da un elevato
moto proprio. Con strumenti amatoriali di apertura medio-grande (30-40 cm.) è oggi teoricamente
possibile osservare quasi tutte le comete visibili nel corso dell'anno, raggiungendo oggetti
anche di magnitudine integrata superiore alla 17, e già con un classico 20 cm. è possibile
osservare comete fino alla magnitudine 14-15.
Il campo di indagine è quindi teoricamente vastissimo.
In linea generale, poiché si tratta di osservare oggetti estesi, un
Newton è preferibile ad un Cassegrain per il maggiore campo inquadrato; un riduttore di focale
può in ogni caso risolvere in parte il problema.
Vale in ogni caso la regola di cercare di non appesantire troppo la
configurazione ottica: dato il modesto campo inquadrato non c'è ad esempio la necessità di
utilizzare correttori di coma e meno elementi (specchi, lenti, filtri...) ci sono lungo
l'asse ottico meglio è; la quantità di luce a disposizione è sempre poca e si ha tutto il
vantaggio a ridurre al minimo le perdite per riflessioni e assorbimento.
I CCD hanno una risposta spettrale molto ampia e l'introduzione di
elementi rifrangenti eccessivamente complessi potrebbe in alcuni casi portare anche un certo
grado di cromatismo.
Il CCD da utilizzare per le osservazioni deve essere del tipo senza
antiblooming (o per lo meno deve essere possibile poterlo disinserire) e preferibilmente
essere dotato di una regolazione della temperatura di raffreddamento.
I CCD senza antiblooming oltre ad avere una maggiore sensibilità hanno
una risposta lineare, condizione essenziale sia per effettuare della buona fotometria, sia per
estrarre il massimo dei dettagli dalla chioma.
L'antiblooming ha il pregio di fornire immagini esteticamente migliori
ma più difficilmente utilizzabili da un punto di vista scientifico; oltre ad una minore
efficienza quantica viene anche appiattita la dinamica nelle zone più luminose rendendo più
difficile evidenziare strutture a basso contrasto nell'interno della chioma di comete luminose.
La risposta più o meno lineare è data dall'insieme del sensore CCD e
della relativa elettronica (incluso il convertitore analogico digitale) è opportuno effettuare
un test per valutare quanto sia lineare la risposta della nostra camera.
E' sufficiente riprendere una superficie qualsiasi (ad es. una parete
illuminata) con pose crescenti e misurare il valore in ADU corrispondente, avendo l'accortezza
di misurare sempre lo stesso pixel, o l'identico gruppo di pixels.
Dovremmo trovare che il livello del segnale (in ADU) è proporzionale al
tempo di posa; l'operazione va effettuata a temperatura costante.
Riportando in un grafico i punti corrispondenti si dovrebbe ottenere con
buona approssimazione una retta.
I sensori migliori montati su camere professionali vengono generalmente
garantiti con una linearità dell'1%-2%; se disponiamo com'è probabile di un CCD non
professionale sarà ragionevole attendersi un valore un po' più elevato (anche 3%-5%) che in
ogni caso è più che accettabile per i nostri scopi.
Dalle misure, volendo, può essere sottratto il contributo dovuto alla
relativa corrente di buio (dark), ma poiché questo è proporzionale al tempo d'esposizione,
incide solamente sulla pendenza della retta che tracciamo e non sulla sua linearità.
Questa correzione non è quindi essenziale per effettuare una valutazione.
Ovviamente l'ideale sarebbe di disporre di una sorgente luminosa stabilizzata, ma considerato
che per il momento il nostro test ha il solo scopo di prendere maggiore confidenza con le
prestazioni della nostra camera CCD, potremo accontentarci di una qualsiasi lampada, a patto
che la linea di rete non sia soggetta ad eccessivi sbalzi di tensione.
Generalmente la perdita di linearità si ha soprattutto avvicinandosi al
livello di saturazione; per scopi fotometrici quindi, come criterio generale, conterremo
l'esposizione in modo che gli oggetti da misurare (cometa e stelle) non cadano mai in questa
zona. Avremo in ogni modo a disposizione una buona parte della dinamica del CCD.
Le dimensioni del chip non sono critiche, nel senso che sebbene sia
preferibile uno di grandi dimensioni, anche utilizzandone uno piccolo è possibile ottenere
risultati di tutto rispetto.
Per inquadrare un campo maggiore si può giocare sulla lunghezza focale.
Un CCD piccolo, se da un lato è svantaggioso, dall'altro ha il pregio di produrre files di
minori dimensioni, più facili da gestire ed archiviare.
Con focali corte le immagini stellari possono tuttavia risultare troppo
piccole perché consentano misure fotometriche accurate; il rimedio è semplicemente quello di
sfuocare leggermente le immagini in modo che una stella abbracci almeno 2-3 pixels;
la posizione di sfocatura va ovviamente mantenuta costante per tutte le riprese.
Le immagini CCD ottenute dovranno essere corrette per la corrente
di buio (dark frame) e per il flat field.
Preferibilmente sia il dark frame che il flat field utilizzati nel pre-trattamento devono
essere ricavati dalla media di più immagini; il flat field a sua volta deve essere
corretto per il rispettivo dark prima di essere utilizzato per trattare l'immagine.
Nelle camere dotate di controllo della temperatura ottenere una buona
correzione della corrente di buio non è un'operazione complessa: basta riprendere una sequenza
d'esposizioni ad otturatore chiuso (identiche in durata a quelle fatte sulla cometa) ed
effettuare una media o una mediana.
Il dark va poi sottratto da ciascuna immagine; il flat field rimane
invece l'operazione più critica.
Per ottenerlo si può riprendere il fondo cielo al crepuscolo (non devono
essere visibili le stelle!) o uno schermo uniformemente illuminato; un doppio schermo di
plexiglass opalino davanti all'obiettivo o semplicemente uno schermo bianco (uno schermo da
diapositive o un foglio di carta bianca possono servire allo scopo).
Per valutare la qualità del flat field si può effettuare uno stretching:
dovrebbero immediatamente essere visibili delle immagini circolari più o meno grandi che
riproducono il profilo delle ottiche in negativo (specchio primario e secondario nei riflettori).
Queste vengono prodotte dai grani di polvere che si trovano sul cammino
ottico (specchi, lenti, filtri, finestra ottica della camera...) e si formano per un meccanismo
analogo e complementare a quello del foro stenopeico (dove però vengono prodotte immagini
positive).
Al di la dell'utilizzo di un file ricavato da una media di più files, e
della relativa correzione per il dark, l'immagine di flat field finale non dovrà subire alcun
tipo di modifica o elaborazione.
Le immagini cometarie, alle quali è stato già sottratto il rispettivo
dark, dovranno essere divise per il flat field finale così ottenuto, dopo di che saranno pronte
per essere processate.
Dato che per scopi fotometrici è necessario raggiungere un discreto
rapporto tra segnale e rumore può essere conveniente sommare più esposizioni oppure, se il
rapporto è già buono, in alcuni casi mediarle.
La fotometria di comete, intesa come misura della magnitudine integrata
della chioma, viene per tradizione effettuata da secoli mediante tecniche visuali, soprattutto
da parte di astronomi non professionisti.
Come già accennato però il limite della tecnica visuale è dato dalla
difficoltà di stimare comete più deboli della magnitudine 9-10, anche utilizzando strumenti
relativamente grandi.
Fotograficamente il limite potrebbe essere teoricamente esteso di molto
ma la difficoltà di inseguire oggetti deboli e di riprendere poi una sequenza di stelle di
confronto con lo stesso tempo di posa e stesse condizioni di cielo rende la cosa assai
complessa e il più delle volte impraticabile.
L'uso di pellicole inoltre è critico per la scelta della combinazione
filtro/pellicola, tempo di esposizione, sviluppo e per la calibrazione finale in quanto le
emulsioni fotografiche sono lineari (o quasi lineari) solo per un intervallo di densità
limitate. Per questo motivo troviamo pochissimi casi di fotometria ottenuta con
questa tecnica.
Il CCD da questo punto di vista è molto più versatile sia nella ripresa
sia in fase di riduzione dati.
Ionsidereremo in questa sede diversi tipi di fotometria sia a larga
banda che con filtri interferenziali.
La fotometria a larga banda della chioma ha lo scopo di determinare la magnitudine
totale della cometa (analogamente a quanto viene fatto visualmente) o in alcuni casi di misurare
la luminosità superficiale della coda nelle riprese a largo campo.
Scopo principale di questo tipo di osservazioni è quello di effettuare un monitoraggio delle
diverse comete, esteso anche ad oggetti deboli.
I filtri standard del sistema UBVRI, di uso comune in campo
astronomico, sono stati ideati per lo studio stellare che presenta problematiche differenti
rispetto al campo cometario.
Una cometa ha infatti uno spettro assai diverso da quelli stellari, dominato in parte da una
componente continua (spettro solare riflesso dalle polveri) alla quale si sovrappongono
emissioni gassose, alcune delle quali generalmente molto intense.
Nelle riprese effettuate senza l'uso di filtri le diverse componenti
appaiono sovrapposte e non si ha alcuna selezione neppure per distinguerle anche in modo
approssimativo.
Va da se che l'informazione scientifica contenuta nelle immagini effettuate in luce
integrale è generalmente piuttosto scarsa.
Le cose migliorano un po' con l'uso di filtri standard UBVRI,
i quali, pur non essendo molto selettivi, isolano regioni spettrali ben definite ponendo in
evidenza le componenti che in quella regione sono più intense: il filtro U è centrato
sull'emissione del CN, la più intensa emissione gassosa della chioma ai margini del
visibile, oltre a comprendere alcune emissioni della coda; il filtro rileva soprattutto
le emissioni della coda dovute al CO+, oltre ad alcune rilevanti emissioni della chioma;
il V è dominato dall'emissione del C2, solitamente la più intensa
nella chioma assieme a quella del CN; i filtri R ed I cadono in una
regione spettrale mediamente meno ricca di emissioni gassose e quindi tendenzialmente pongono
in maggiore evidenza la componente polverosa, che comunque è presente a tutte le lunghezze
d'onda.
Considerando comunque la sola determinazione della magnitudine totale
della chioma non è strettamente necessario porsi in un sistema standard
(filtro per la banda V) per produrre dati in qualche modo confrontabili con quelli visuali
ed è possibile operare semplicemente senza filtri con l'accortezza di utilizzare come confronto
delle stelle di tipo solare (spettro G0V), considerandone la magnitudine V.
In questo modo si ha il vantaggio di un miglior rapporto
segnale/rumore e si raggiunge una magnitudine limite più spinta.
Questa approssimazione diviene ancora più lecita se consideriamo che l'interpretazione delle
curve di luce basate sulla magnitudine totale della chioma (sia visuali che CCD) è spesso
alquanto ambigua non essendo possibile discriminare con precisione le cause delle variazioni
luminose.
Salvo casi particolari nei quali i filtri standard UBVRI possono essere
di una qualche utilità è quindi preferibile osservare senza filtri.
Dovendo programmare l'acquisto di filtri per specifico uso cometario
è conveniente orientarsi verso i filtri interferenziali a banda stretta.
Gennaio 1999
Introduzione
Lo strumento
Il ccd
Pretrattamenti
Fotometria