ANNO VII - NUMERO 24
1° TRIMESTRE 2000
L'esplosione di una Supernova (SN) all'interno di una galassia
è un evento straordinario. Anche se solamente una frazione molto piccola dell'intera
energia prodotta viene rilasciata sotto forma di radiazione ottica, le SNe sono gli oggetti
stellari più brillanti mai osservati.
Nei pressi del massimo della curva di luce una SN di tipo Ia raggiunge una magnitudine assoluta
MB» - 19, da cui deriva una luminosità
B dell'ordine di un miliardo di luminosità solari, che è una frazione significativa
dell'energia irradiata dall'intera galassia cui appartiene.
Ciò la rende visibile anche a distanze paragonabili con le
dimensioni dell'Universo osservabile.
Infatti, una SN Ia al massimo, posta ad esempio a 1000 Mpc dalla Terra, apparirebbe
come una stella di magnitudine B » 21 e sarebbe quindi
facilmente osservabile con i moderni telescopi. Per questo motivo lo studio delle SNe ha
recentemente assunto un'importanza vitale nella determinazione della scala delle distanze, nella
soluzione del problema della costante cosmologica ed in ultima analisi nella
comprensione del destino dell'Universo.
Oltre a questo, non si deve dimenticare che l'esplosione di una SN rappresenta l'unica
possibilità di vedere l'interno di una stella e quindi di analizzare i prodotti
della nucleosintesi. E ciò è di fondamentale rilievo nello studio dell'evoluzione
chimica del mezzo interstellare a più in generale di un'intera galassia.
Per queste ragioni si è pensato di fornire una quadro generale del fenomeno e di suddividerlo in diverse parti, iniziando con una breve introduzione storica.
I. CENNI STORICI
Una tra le prime documentazioni certe riguardanti l'osservazione di una
SN risale al sec. XI d.c. e fu redatta dagli astronomi cinesi durante la dinastia Sung.
Essa parla di una "stella ospite" che fu visibile in pieno giorno e che dopo un anno di graduale
declino non fu più osservabile.
Sono queste due annotazioni riguardanti lo splendore e la durata dell'evento che, alla luce
delle conoscenze attuali, permettono di identificare la stella ospite del 1054 come una SN
esplosa nella nostra Galassia.
Altri due eventi di questo tipo sono attestati dalle osservazioni di Tycho Brahe (nel 1572) e
di Keplero (nel 1604). Per ciascuno di questi tre oggetti le osservazioni compiute in questo
secolo hanno messo in evidenza l'esistenza dei resti dell'esplosione e ciò conforta
ulteriormente la convinzione che si sia trattato di SNe.
L' chiaro che vista la rarità dell'evento SN nella Via Lattea
l'indagine doveva rivolgersi alle galassie esterne. Lo studio delle SNe extragalattiche si apre
nel 1885 quando Hartwig, presso l'osservatorio di Tartu in Estonia, scopre una stella di sesta
magnitudine mai osservata prima d'allora, 16" a sud del nucleo della galassia M31 in Andromeda.
E' con questo evento, denominato S And perchè ritenuto una nova, che ha inizio lo
studio spettroscopico delle SNe. Pochi giorni dopo il massimo venne infatti osservato visualmente
lo spettro: sopra un brillante continuo si notarono intense bande in emissione di cui non si
potè dare, all'epoca, alcuna identificazione.
Nel 1895 venne studiata un'altra SN brillante (Z Cen), in NGC 5253; per
questo oggetto fu possibile riprendere fotograficamente la parte blu dello spettro, che si
rivelò essere molto simile a quello di S And: sul continuo si ergevano emissioni molto
allargate ed intense.
Si dovette però attendere sino agli anni '30 per giungere ad una analisi sistematica
di questo fenomeno, ad opera di Wilhelm Baade e Fritz Zwicky. Durante alcuni studi su un
campione di galassie essi osservarono diversi eventi simili a quelli chiamati novae.
La distanza e lo splendore di questi oggetti, però, implicavano una luminosità
intrinseca molto superiore a quella delle novae ordinarie: per sottolineare questa fondamentale
differenza Zwicky e Baade coniarono il termine SUPERNOVA.
Ebbe inizio proprio in quegli anni, ad opera di Zwicky, la prima ricerca
sistematica delle SNe, dapprima con un piccolo telescopio posto sul tetto dell'Astrophysical
Building del Caltech ed in seguito tramite il telescopio Schmidt di monte Palomar.
Ben presto questo lavoro diede i suoi frutti e vennero scoperti moltissimi oggetti.
Non solo: oltre alla scoperta, le lastre prese allo Schmidt venivano utilizzate per le misure
fotometriche atte a tracciare la curva di luce degli oggetti in esame, ovvero l'andamento della
luminosità in funzione del tempo.
Congiuntamente, quando possibile, presso i grandi telescopi di monte Palomar e di
monte Wilson le SNe scoperte venivano studiate dal punto di vista spettroscopico.
Nel 1936 Humason rese pubblici gli spettri delle SNe 1926A e 1936A
ottenuti a monte Wilson. In essi identificava le righe di emissione come righe della serie
di Balmer dell'idrogeno, concludendo che le osservazioni confermavano l'ipotesi di Baade
e Zwicky, secondo i quali negli spettri delle SNe ci dovevano essere righe di emissione molto
allargate, indice di strati gassosi espulsi a grande velocità.
Sino ad allora l'esiguità del materiale disponibile non aveva messo in evidenza
sostanziali differenze tra i vari oggetti, nè spettroscopicamente nè
fotometricamente.
Fu lo spettro della SN 1937C a indurre Popper a formulare l'ipotesi riguardante l'esistenza di tipi diversi di SNe. Infatti, sia 1937C che Z Cen erano prive dei due profondi assorbimenti (che in seguito sono stati identificati come H® ed H©) che apparivano invece chiaramente negli spettri di 1936A.
L'aumentare dei dati disponibili convinse Minkowski che tale differenza
era reale: gli spettri delle SNe 1940B e 1941A erano completamente diversi da quelli noti.
Nel suo lavoro del 1941 introdusse così la distinzione fra un gruppo omogeneo, detto di
tipo I ed uno meno omogeneo, detto di tipo II.
Minkowski classificò come appartenenti al tipo I gli oggetti
i cui spettri non mostravano righe dell'idrogeno (ad es. 1937C e 1937D) e di tipo II
quelli che avevano mostrato uno spettro continuo nelle prime fasi ed il successivo svilupparsi
delle righe della serie di Balmer e di altre strutture (ad es. 1936A, 1940B e 1941A).
Come fece notare Hubble, gli spettri delle SNe di tipo I erano diversi da quelli di qualunque
altro oggetto noto e nessuna delle caratteristiche spettrali era stata identificata, cosa che
invece era stata possibile per le tipo II i cui spettri erano simili a quelli più
conosciuti delle novae, anche se suggerivano che il fenomeno doveva avvenire su una
scala molto più grande.
I decenni successivi videro un notevole sviluppo in questo campo.
Alla fine degli anni '50 altri Osservatori si occuparono della ricerca e dello studio delle
SNe, specialmente in Europa.
Primo fra tutti va nominato l'Osservatorio Astrofisico di Asiago che, con i due telescopi
Schmidt ed il telescopio da 122 cm, ha portato un contributo fondamentale nella raccolta dei
dati, sia fotometrici che spettroscopici.
Nonostante questo intenso sforzo da parte della comunità astronomica l'origine ed il significato degli spettri delle SNe I rimanevano sconosciuti, mentre l'interpretazione degli spettri delle SNe II in termini di similitudine con quelli mostrati dalle novae durante la fase di alta eccitazione prendeva sempre più corpo.
Se da un punto di vista fotometrico le SNe di tipo I non mostravano
sostanziali disomogeneità, queste apparivano negli spettri e già nel1962 Bertola
notava la diversità mostrata dallo spettro della SN 1962L, nel quale mancava il forte
assorbimento a 6150 Å, attribuito
al Si II, presente in tutte le SNe I fino ad allora osservate.
Quella che in un primo momento era apparsa come una peculiarità si rivelò essere
una caratteristica tipica di una nuova sottoclasse di oggetti. Così le SNe di tipo I
vennero suddivise in Ia (le tipo I classiche) e le Ib (le peculiari, prive del
Si II nello spettro).
Alla fine degli anni '80 è stata infine suggerita un'ulteriore suddivisione all'interno
degli eventi che non mostrano il Si II, a seconda della presenza (Ib) o dell'assenza
(Ic) di He I nello spettro a epoche vicine al massimo.
Un notevole impulso allo studio delle SNe è stato dato dalla
scoperta della SN 1987A nella Grande Nube di Magellano.
La relativa vicinanza di questo oggetto (~50 Kpc)
ha permesso uno studio senza precedenti e, come spesso accade in Natura, ciò ha aperto
questioni inattese.
Prima fra tutte quella riguardante il progenitore, che nelle teorie correnti ci si aspettava
essere una supergigante rossa e che le osservazioni pre-esplosione mostravano essere una
gigante blu.
Il numero delle survey è aumentato ed alle tecniche di ricerca convenzionali si sono affiancate quelle automatiche, come la Berkeley Automated SN Search. Dalle poche SNe scoperte all'inizio del secolo si è così passati alle 64 del 1991 sino alle 203 scoperte nel corso del 1999.
Se da un lato è vero che la mole dei dati è aumentata enormemente, dall'altro la scoperta di nuovi oggetti peculiari ha reso il quadro ancor più complesso, chiarendo definitivamente come si sia ancora lontani dalla comprensione del fenomeno Supernova.