Nota: si ringraziano AEROSTUDI e ALENIA AEROSPAZIO per la concessione del materiale riguardante il programma N2-MDPS.
Anche ai più distratti sarà capitato almeno una volta nella vita di osservare una stella cadente. La scia luminosa desta sempre un antico stupore, tanto da essere associata alla realizzazione dei desideri più reconditi. Alcuni astrofili volenterosi, un po' meno poeticamente, ma con maggiore impegno ed attenzione, registrano con certosina pazienza tutte le stelle cadenti osservate, per tracciare una distribuzione statistica su quei granellini di polvere. In realtà, visti da vicino, quei corpuscoli non offrono nulla di poetico e piuttosto risultano molto pericolosi per chi non si trovi disteso sul prato sotto la volta celeste estiva, ma stia lavorando in un ambiente pressurizzato a 400 km di quota....
La densità di micrometeoriti non è costante nello spazio. La fascia di asteroidi tra Marte e Giove risulta particolarmente critica sotto questo aspetto. Misurazioni sono state compiute con varie missioni spaziali, come Pioneer 10 e 11, Helios 1, Galileo e Ulisse, utilizzando apparecchiature capaci di registrare gli impatti sul satellite. Per quanto riguarda lo spazio attorno il nostro pianeta, oltre ai micrometeoriti si presenta il problema dei detriti, causati da mezzo secolo di esplorazione spaziale.
Oggi non esistono sistemi ragionevoli per rimuovere quantità significative di detriti. A ragion del vero, l'alta atmosfera, che si estende per diverse centinaia di chilometri di quota, riesce a frenare le particelle in orbita ed a farle decadere, in funzione del rapporto tra la loro area e la loro massa: gli oggetti con un rapporto più elevato, che in genere sono i più piccoli, cadono prima, mentre quelli con un rapporto minore - quasi sempre i corpi più grandi - rimangono in orbita a lungo prima di decadere. Inoltre la quota gioca un ruolo fondamentale: più si sta bassi, più l'atmosfera è densa, più efficace è l'azione della frenata d'attrito, più rapida è la caduta. Per fare un esempio, un satellite abbandonato in orbita circolare a 600 km di quota impiegherebbe 25-30 anni per disintegrarsi nell'atmosfera, ma se si trovasse alla quota di 1000 km impiegherebbe 2000 anni.
Pur essendo vero che lentamente i detriti si disintegrano nell'atmosfera a causa del meccanismo d'attrito appena illustrato, attualmente ne sono prodotti molti di più di quanti ne siano eliminati. Il Comando Spaziale degli Stati Uniti segue costantemente l'orbita di circa 10.000 detriti le cui dimensioni superano i 10 cm, ma per quanto riguarda detriti di dimensioni minori la base delle valutazioni è meramente statistica. Secondo un modello statistico elaborato dall'istituto CNUCE del CNR di Pisa, ci sarebbero attualmente in orbita 50 milioni di particelle superiori al millimetro e 150.000 superiori al centimetro.
I detriti si trovano concentrati lungo le orbite di maggior traffico, su due quote: a 20.000 chilometri, dove orbitano in prevalenza satelliti dedicati alla navigazione, ed a 36.000 chilometri, dove si trovano satelliti in orbita geostazionaria.
La gravità del problema dei detriti spaziali è ravvisabile in alcuni eventi che si sono recentemente verificati. Lo Space Shuttle, per esempio, ha dovuto compiere manovre per evitare frammenti orbitanti ed oggetti abbandonati. Il 15 settembre 1997 la stazione sovietica MIR è stata sfiorata (poche centinaia di metri) da un satellite militare americano abbandonato. Il 24 luglio 1996 si è verificata la prima collisione spaziale documentata: un piccolo satellite militare francese, Cerise, è stato investito a 14,77 km/s da un frammento grande come una valigetta prodotto dieci anni prima dall'esplosione del terzo stadio del vettore Ariane. L'impatto ha distrutto un braccio di 6 metri del satellite, che tuttavia è riuscito a mantenere l'assetto grazie al controllo di volo da terra.
Il problema sostanziale degli impatti con i detriti e con i micrometeoriti risiede nelle alte velocità relative coinvolte, dell'ordine di 10 km/s (36.000 km/h). A quelle velocità un frammento delle dimensioni di 1 centimetro sviluppa nell'impatto un'energia confrontabile con quella rilasciata dall'esplosione di una bomba a mano. Nella collisione l'energia si libera quasi istantaneamente per trasformarsi in calore o, in parte minore, in energia cinetica di frammenti secondari.
E' interessante notare che questi impatti avvengono generalmente in condizione di ipervelocità, ossia con velocità relativa del detrito maggiore di quella di propagazione del suono nel materiale, che tipicamente è di circa 5 chilometri al secondo. La collisione genera così un'onda d'urto che si espande dal punto d'impatto e che causa la vaporizzazione del materiale vicino, e la polverizzazione ed espulsione del materiale entro un certo raggio. In questo modo si genera un cratere di dimensioni molto maggiori di quelle del detrito originario. Si stima che se la massa del proiettile è maggiore di un millesimo della massa del bersaglio, quest'ultimo può venire completamente distrutto, generando uno sciame di nuovi frammenti. Lo studio di questi meccanismi è rilevante anche dal punto di vista planetario, in quanto simili impatti riguardano anche la planetologia ed in particolare lo studio degli asteroidi nella fascia tra Marte e Giove.
Come si può proteggere un satellite operativo ed i veicoli abitati dal rischio di impatti con micrometeoriti e detriti spaziali?
Una possibilità è rappresentata dal continuo monitoraggio dei detriti catalogati, che possono venire evitati da satelliti o dallo Shuttle tramite manovre. Tuttavia non è un sistema applicabile a veicoli spaziali che non sono in grado di modificare rapidamente la propria orbita ed inoltre il monitoraggio da terra è limitato ad oggetti al di sopra di una certa dimensione.
La contromisura più utilizzata è rappresentata dal ricoprire le parti più esposte dei veicoli spaziali con adeguati scudi protettivi, per limitare il più possibile i danni da un eventuale impatto. In genere questi scudi sono costituiti da una o più paratie esterne, dello spessore di qualche millimetro, la cui funzione è quella di rompere o vaporizzare il proiettile, e da una paratia interna, situata alla distanza di qualche centimetro, che serve ad assorbire e neutralizzare i frammenti secondari generati dal primo impatto. L'International Space Station viene costruita con questo sistema di scudi, che dovrebbe essere in grado di proteggerla da detriti di dimensioni inferiori al centimetro. Tuttavia si tratta solo di una sicurezza 'statistica'.
Per progettare un adeguato sistema di protezione da detriti e micrometeoriti, occorre innanzi tutto avere una stima del flusso di meteore, definito come numero d'impatti per metro quadro al secondo(numero/m2 s), cui è sottoposto il satellite durante l'intera missione. Esistono modelli basati su passate esperienze spaziali che vengono costantemente aggiornati. Il flusso di meteore dipende da dove si svolge la missione, ossia dal tipo di orbita.
Oltre a questo fattore ambientale, ci sono altri tre aspetti importanti: le aree d'interesse, il campo di visuale e l'assetto dell'astronave. Le aree d'interesse vengono identificate da disegno come quelle dove si trovano i sistemi più delicati ed importanti e sono misurate in metri quadri. Il campo di vista, detto anche fattore geometrico, corrisponde a tutte le superfici esposte dell'oggetto. Si ottiene al computer, tracciando tutti i possibili raggi da ogni punto della superficie del satellite, per capire quanto una superficie viene schermata da altre parti del satellite. Serve a valutare quale frazione del flusso di meteore interessa una determinata zona. L'assetto di volo durante la missione è importante poiché la superficie dell'astronave che si trova a viaggiare perpendicolarmente al vettore velocità è sottoposta ad un maggiore flusso di meteore, mentre superfici molto inclinate appaiono più protette poiché tagliano il flusso solo di striscio.
Quando si hanno a disposizione tutti i dati sopra descritti, è possibile ricavare la probabilità di guasto di un sistema dell'astronave, moltiplicando il flusso di meteore per l'area d'interesse, per il fattore geometrico e per il fattore dato dall'inclinazione della superficie dovuta all'assetto di volo: si ottiene così il numero di impatti meteorici per l'area d'interesse.
Il passo successivo è quello di usare alcune equazioni al fine di determinare la massa e la velocità che deve avere un meteorite per perforare un eventuale scudo, al fine di valutare un adeguato dimensionamento del sistema di protezione.
Le valutazioni appena illustrate sulla probabilità di impatto meteorico e sulle relative conseguenze sono state applicate ad ogni superficie dell'International Space Station, dove la presenza di esseri umani a bordo rende il problema della sicurezza molto più pressante rispetto, ad esempio, un satellite scientifico. Esamineremo da vicino il Nodo 2 che, come dice il nome, è un modulo la cui funzione principale è quella di collegare tra loro vari laboratori, tra cui il modulo europeo Columbus.
Il Nodo 2 ha la forma di un cilindro di raggio 2.2 metri circa con le estremità a forma di cono per una lunghezza di 5 metri. L'intera superficie del Nodo 2 è ricoperta dal "Meteroid/Debris Protection System" (MDPS) che consiste di 90 pannelli, attaccati a dedicate strutture di supporto. E' da notare che nello spazio, a causa dell'assenza dell'atmosfera, le parti esposte al Sole raggiungono la temperatura di +150°C, mentre quelle in ombra sono a -150°C. Come se non bastasse, a causa del moto orbitale, le due temperature estreme si alternano per una quindicina di cicli al giorno, causando continue dilatazioni e contrazioni termiche di cui bisogna tenere conto in fase di progettazione.
Sostanzialmente, a seconda della probabilità d'impatto calcolata, ci sono due tipi di pannelli, chiamati "Single Bumper" e "Double Bumper" (a paratia singola o a paratia doppia). I Single Bumper sono i pannelli per le zone a minor rischio, e consistono in fogli in lega d'alluminio con spessore di 1.6 mm. Nell'immagine seguente si può osservare un Single Bumber munito di relativi rinforzi (in blu). Il pannello è visto dall'interno.I quattro fori visibili alle estremità dei rinforzi blu sono usati per le interfacce con la struttura del Nodo.
I Double Bumper sono fatti utilizzando fogli di 2.54 mm dello stesso tipo di alluminio verso l'esterno, mentre all'interno presentano un secondo Bumper fatto principalmente di Kevlar e Nextel, la cui funzione è quella di frenare i frammenti prodotti dall'impatto di un meteorite sul primo Bumper. Nella prossiam figura si può osservare come la paratia in Kevlar (in verde) è collegata tramite C metalliche (in rosso) alla paratia di alluminio (in grigio). Le aree gialle sono rinforzi. La paratia in kevlar è rappresentata solo a sinistra per permettere la visione della parte sottostante.
Mentre l'illustrazione precedente mostrava un Double Bumper del Cono, la prossima raffigura un Double Bumper del cilindro.
Ci si potrebbe domandare per quale motivo non vengano direttamente montati pannelli Double Bumper su tutta la struttura, visto che essi forniscono una protezione maggiore. In realtà occorre considerare che a causa dell'elevato costo di ogni lancio, bisogna sempre minimizzare la massa che s'intende mandare in orbita.
La semplicità dei pannelli MDPS non deve trarre in inganno: nella progettazione e realizzazione si è dovuto tenere conto di una serie di fattori "ambientali" di notevole impatto, che sono abbastanza tipici nel settore spaziale, ma alquanto inusuali per altri settori di progettazione. Per cominciare, questi pannelli devono poter resistere 15 anni nel vuoto con i cicli termici sopra citati. Devono resistere ai raggi ultravioletti ed alle radiazioni. Devono poter resistere alle terribili accelerazioni di lancio (decine di "g", ossia decine di volte l'accelerazione gravitazionale terrestre) così come a calci sferrati involontariamente da qualche astronauta distratto. Possono vibrare soltanto ad una frequenza propria superiore ad una certa soglia. Non devono avere viti esposte, fori dove un astronauta possa infilarci involontariamente un dito e rimanerci incastrato. Non devono avere nulla di tagliente, sempre a causa di eventuali operazioni EVA (Extra Vehicular Activities), ossia attività all'esterno del veicolo spaziale da parte di un astronauta: infatti se gli si forasse la tuta, correrebbe un grave pericolo di vita.
Per progettare i pannelli e verificare la loro conformità ai requisiti richiesti sono state necessarie migliaia di documentazione, accompagnate da una gran quantità di simulazioni al computer per valutare le proprietà statiche e dinamiche. I pannelli vengono prodotti dall'ALENIA SPAZIO SPA di Torino, dove gran parte dei moduli della Stazione Spaziale sono stati progettati e prodotti. AEROSTUDI SPA di Trieste ha partecipato alla progettazione dei pannelli MDPS.
In AEROSTUDI si esegue la progettazione e realizzazione di prodotti dedicati al settore aerospaziale. AEROSTUDI, tramite ALENIA ha preso parte a vari progetti legati all'International Space Station, tra i quali Columbus, ed il NODO 2, oltre ad equipaggiamenti meccanici di terra (Mechanical Ground Support Equipment, MGSE) di vari programmi, come Cupola ed ATV (Authomated Transfert Vehicle).
Le informazioni usate per questa breve presentazione sono stati tratti da:
- LE SCIENZE, N°361 - settembre 1998 - "Uno Spazio Affollato di Detriti".
- NASA preferred reliability practices, PRACTICE NO. PD-EC-1107, Maggio 1996
- Illustrazioni tratte dalla documentazione AEROSTUDI del programma N2-MDPS