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"TRECENTO NOBEL, SOLO DIECI DONNE"

di Stefania Maurizi

pubblicato da "Tuttoscienze" de " La Stampa" il 19 dicembre 2001


Sfogliando l'album dei vincitori del Nobel, in occasione del primo centenario del premio, ci ritroviamo a sperare che l'Accademia di Svezia abbia tradito gli slanci della buonanima di Alfred Nobel, perché, se come egli voleva, i suoi premi sono andati a tutte le grandi menti dell'umanità, senza omissioni, per noi donne il bilancio è pesantissimo.

A fronte di oltre trecento Nobel per la scienza vinti dagli uomini, dieci donne hanno ottenuto undici premi: due per la fisica: Marie Curie (1903) e Maria Mayer (1963); tre per la chimica: Marie Curie (1911), Irene Joliot-Curie (1935) e Dorothy Hodgkin (1964) ed, infine, sei per la medicina: Gerty Cory (1947), Rosalyn Yalow (1977), Barbara Mc Clintock (1983), Rita Levi-Montalcini (1986), Gertrude Elion (1988), Christiane Nusslein-Volhard (1995). (N.d.R.: si noti che gli 11 Premi Nobel sono stati assegnati a 10 donne, in quanto Marie Curie ne ha vinti due, uno col marito Pierre Curie e Henri Becquerel per la fisica nel 1903 e uno per la chimica nel 1911.)

Vanno meglio le cose in altri settori: riscattiamo, infatti, la miseria dei due Nobel per la fisica con la santità dei dieci per la pace. Ma, evitando toni piagnucolosi e sarcastici, ci limitiamo ad esporre alcuni fatti interessanti.

La battaglia delle europee per il diritto all'istruzione universitaria non fu uno scherzo. In Germania, fino al 1908, per frequentare le università come uditrici, le donne dovevano ottenere il permesso dei titolari dei corsi, il che era un grosso progresso: nel passato dovevano scomodare il ministro dell'educazione. Ad Oxford, negli anni'30, le chimiche potevano frequentare le "general sessions", ma non i club in cui si discuteva di ricerca avanzata.

Diversa era la situazione delle donne americane, per le quali l'accesso all'istruzione universitaria era più semplice, ma la carriera scientifica non era affatto agevole, ed anzi, se la condizione delle scienziate europee era seria, ma non senza speranza, quella delle americane, almeno fino al 1972, era senza speranza, ma non seria. Il principio "equal pay for equal work" era una divertente barzelletta: a parità di posizione accademica una donna poteva tranquillamente guadagnare la metà di un collega maschio. Le leggi contro il nepotismo, che impedivano agli atenei di assumere parenti del personale dipendente, volenterosamente applicate ad un'intera schiera di scienziate e mogli di professori, produssero effetti tra il drammatico ed il ridicolo: ci fu chi tenne a freno i sensi e si sposò solo dopo la pensione e chi capitolò e fece la mantenuta.

Di fronte a queste situazioni oggettivamente difficili, ognuna delle dieci scienziate dette risposte diverse e, per rappresentarle, abbiamo scelto due storie.

 

MARIA GOEPPERT MAYER

Geniale e pure bella, la quarantaduenne Maria Mayer, nel 1948, aveva assaporato già quasi tutto: il trionfo di una laurea in fisica a Göttinga, la stima di geni come David Hilbert o Leo Szilard, l'amore di un marito americano, il brivido dei segreti atomici e la gratificazione di un'idea brillante che le avrebbe fruttato il Nobel per la fisica, il solo vinto da una donna dopo l'epopea di Madame Curie.

Utilizzando l'enorme mole di dati sugli isotopi, prodotta dalla ricerca bellica, Maria Mayer studiò il nucleo atomico, che, seppure minuscolo, ha una struttura altrettanto complessa quanto quella dell'atomo.
Su tale struttura erano state fatte varie ipotesi, ma ancora oggi manca una teoria generale, pertanto i fisici tentano di costruire modelli nucleari, in modo da ricavarne previsioni sperimentali.

La Mayer propose il "modello a shell del nucleo atomico" che, permettendo finalmente di capire fenomeni noti da tempo come quello dei "numeri magici", riscosse un grande successo, ma non le garantì l'unica cosa che a quarantadue anni ancora le mancava: un vero lavoro.
Incastrata dalle leggi contro il nepotismo, fece la volontaria per decenni nei più prestigiosi atenei americani; il marito, come chimico, lavorò sempre nelle università e lei fece ricerca, insegnò ed ispirò studenti come John Wheeler senza guadagnare un solo dollaro.

A cinquantatré anni le dettero un vero lavoro. Ma lei non rivendicò mai nulla, e, quando la Società Americana di Fisica la inserì nella commissione sulla condizione delle donne, trasecolò: non capiva il senso di una tale commissione né era interessata ad essa. Legittimamente, le interessarono solo la fisica e la stima dei geni.

Aveva superato la dura selezione, prevista per l'ammissione a Göttinga, grazie ad un corso delle suffragette; per le donne tedesche non erano previste scuole di preparazione all'università.

 

ROSALYN SUSSMAN YALOW

Un filo di perle ed una messa in piega sobria conferivano a Rosalyn Yalow un'aria da zia scaltra e dai modi spicci.

Si specializzò in fisica nucleare nel 1945 e puntò alla carriera universitaria. Brillante, sanguigna e combattiva, innamoratasi di un fisico nucleare, non si fece fregare dalle leggi contro il nepotismo: rinviò il matrimonio. Ma poi, fatti due conti, non perse tempo con le università, si sposò e lavorò in un ospedale militare di New York.

Nella medicina era iniziata da poco l'era degli isotopi radioattivi, usati come traccianti. Marziale ed assertiva, portò avanti le proprie ricerche nel laboratorio ospedaliero. Non si concesse di rimanere incinta se non quando ebbe una posizione lavorativa consolidata: conosceva varie colleghe costrette alle "dimissioni volontarie"; sette giorni dopo il parto, mandò al diavolo il pediatra e tornò a lavorare; vinse: ebbe il lavoro, la famiglia che voleva ed inventò la RIA.

La RIA fu il frutto di una spettacolare combinazione di endocrinologia, ricerca sui radioisotopi e matematica, che rivoluzionò la medicina. Grazie a questa tecnica estremamente sensibile fu possibile misurare, per la prima volta in modo accurato, la concentrazione di ormoni estremamente importanti per il corpo umano, come l'insulina o l'ormone della crescita.

Brevettando la RIA, Rosalyn Yalow avrebbe potuto arricchirsi; non lo fece. S'accontentò di un Nobel per la medicina, che, sicura delle proprie capacità, attese a lungo. Ogni anno, ad ottobre, pochi giorni prima della proclamazione dei vincitori, metteva in fresco lo champagne e, impaziente, aspettava. Ritirò il premio nel 1977, poi, compiaciuta, sistemò l'ultimo conto in sospeso.

Svergognò, sulla stampa, l'editor di una prestigiosa rivista scientifica che, ventidue anni prima, le aveva rigettato un lavoro decisivo per l'invenzione della RIA.


 

ENGLISH VERSION

Browsing through the Nobel Prize winners' album, in the occasion of the first centenary, we find ourselves ironically hoping that the Swedish Academy has betrayed the original spirit of Alfred Nobel, because, if their choices truly reflect the awarding of this prize to the great minds of the world, we women are out of the picture.

Against three hundred Nobel prizes for science won by men, a grand total of ten women have received eleven prizes; two for physics: Marie Curie (1903) and Maria Mayer (1963); three for chemistry: Marie Curie (1911), Irene Joliot-Curie (1935) and Dorothy Hodgkin (1964), and, finally, five for medecine:Gerty Cory (1947), Rosalyn Yalow (1977), Barbara Mc Clintock (1983), Rita Levi-Montalcini(1986), Gertrude Elion (1988), Christiane Nusslein-Volhard (1995).

Things are better in other fields: we have redeemed our miserable two prizes for physics with our saintliness in winning ten for peace. But, let's stop this whinging and sarcasm, and confine ourselves to stating some interesting facts.

The struggle of European women for the right to academic instruction was not a joke. In Germany, until 1908, in order to attend universities even as listener, women had to obtain the permission of the directors of the courses. This represented an enormous progress; in the past they had to inconvenience the Minister of Education himself. At Oxford, in the '30s, women chemists could attend general sessions, but not the clubs in which one discussed advanced research.

Somewhat different was the situation for American women, whose access to academic instruction was easier to achieve, but whose scientific career was not easy at all, and indeed, if the condition of European women scientists was serious, but not without hope, that of the Americans, right up to 1972, was without hope, but not serious.

The principle "equal pay for equal work" was a delightful joke: if they had equal academic status, women could quietly earn half that of a male colleague. The anti-nepotism laws, which prevented universities from hiring the relatives of existing staff, readily applied to a crowd of women scientists and professors' wives, produced various effects ranging from the terrible to the ridiculous: there were those who restrained themselves and married only after their retirement, and there were those who capitulated and became kept women.

Faced with all these objectively difficult situations, each of the ten Nobel prize women reacted in different ways, and, to represent them, we chose two stories.

 

MARIA GOEPPERT MAYER

Of genius and also beautiful, Maria Mayer, by 1948, had already savoured everything: the triumph of a degree in physics in Gottingen, the esteem of geniuses like David Hilbert or Leo Szilard, the love of an American husband, the thrill of atomic secrets and the satisfaction of a brilliant idea which would bear fruit in the Nobel prize for physics, the only one awarded to a woman after Madame Curie's epic.

Using the enormous amount of data on isotopes produced by war research, Maria Mayer studied the atomic nucleus, which, even though minuscule, has a structure as complex as that of the atom.
About this structure various hypotheses had been formulated, but still today there is still not a general theory, therefore physicists try to construct nuclear models, so that they can develop experimental predictions.

Maria Mayer proposed the "nuclear shell model" which, by finally making it possible to explain many phenomena known from a long time, but hitherto without explanations, gained a great success.

But it did not guaranted the one thing that, at forty-two old, Maria Mayer was lacking: a real job.

Caught by the anti-nepotism laws, she worked as a volunteer in the most prestigious universities; her husband, as a chemist always worked in the universities, and she did research, taught and inspired students like John Wheeler without earning a single dollar.

At fifty-three, they gave her a real job. But she never claimed anything, and, when the American Physics Society appointed her to the commission for women in physics, she was dumbfounded: she did not understand the sense of a such commission nor was she interested in it. Legitimately, she was only interested in physics and in the esteem of other great minds in her field.

She had overcome the university's rigorous entrance examination thanks to a course given by suffragettes: for German women there were no schools that prepared them for the university.

 

ROSALYN SUSSMAN YALOW

A necklace of pearls and a severe hair style gave Rosalyn Yalow the air of a shrewd and a no-nonsense aunt.

She specialised in nuclear physics in 1945 and aimed for an academic career. Brilliant, hot-tempered, combative, and in love with a nuclear physicist, she was not duped by the anti-nepotism laws: she postponed her marriage. But, after taking stock of her situation, she did not waste her time with universities, she married and worked in a military hospital in New York.

In medecine the era of radioactive isotopes used as a tracers had only just begun. Martial and asserive, she conducted her research in the hospital labs. She did not allowed herself to become pregnant until she had completely consolidated her job situation: she knew of too many colleagues forced to "voluntarily resignation", seven days after the birth, she defied her paediatrician and returned to work; she won: she had her job, the family which she wanted and invented the RIA.

The RIA was the result of a spectacular combination of endocrinology, radioisotopes research and mathematics which revolutionised medecine. Thanks to this extremely sensitive technique, it was possible for the first time to accurately measure specific hormones vital for the human metabolism, such as insulin or human growth hormone.

By patenting RIA, Rosalyn Yalow could have become rich, but she did not do so. She was content with the Nobel prize which, confident in her abilities, she had waited for a long time. Every year, in October,a few days before the winners prize proclamation, she put the champagne in the fridge and waited impatiently. She received the prize in 1977, then, finally satisfied, she decided to settle an old score.

She shamed in the press the editor of a prestigious scientific journal, who twenty-two years previously, had rejected a ground breaking paper on the invention of RIA.


Si ringraziano l'autrice del testo e l'editore per la concessione dell'articolo.


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Pagina inserita in rete: 26 agosto 2002; ultimo aggiornamento (2°): 14 novembre 2004