SETI@home

Un salva schermo per la ricerca di messaggi extraterrestri

di Gianfranco Benegiamo

Articolo pubblicato originariamente sulla rivista Nuovo Orione (per gentile concessione dell'Editore)


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I dati acquisiti nell’ambito del progetto Serendip IV, tramite il radiotelescopio di Arecibo, sono trasferiti al centro operativo e da qui distribuiti, tramite Internet, ai computer grandi e piccoli che in tutto il mondo provvedono ad analizzarli con il salva schermo SETI@home.


L’evoluzione di un impegno scientifico decennale

Sono trascorsi oltre quarant’anni dalla pubblicazione su Nature, il prestigioso settimanale scientifico inglese, dell’articolo firmato da Giuseppe Cocconi e Philip Morris: “Searching for Interstellar Communications” nel quale si descriveva, per la prima volta, una realistica strategia da impiegare nella ricerca di intelligenze extraterrestri. Gli autori proponevano di esaminare i segnali radio intorno a 21 centimetri, la lunghezza d’onda cui corrisponde una tipica linea di emissione dell’idrogeno non ionizzato, provenienti dalle stelle più vicine e simili al Sole. La medesima idea stava indipendentemente occupando anche i pensieri di Frank Drake che poco dopo, puntando l’antenna da 85 piedi del radiotelescopio di Green Bank verso la stella tau-Ceti, dava inizio al progetto Ozma, dal nome del mago Oz (personaggio dei racconti per l’infanzia ideato da Frank Baum). L’indagine, durata alcune settimane, fu seguita negli anni da molte altre, tutte genericamente indicate con la sigla SETI, acronimo di Search for Extraterrestrial Intelligence.

Il progetto SETI@home, avviato nei primi mesi del 1999, si propone di analizzare, con una sensibilità dieci volte maggiore rispetto a quanto fatto in precedenza, i segnali raccolti usando la parabola, ampia 305 metri, del radiotelescopio di Arecibo. SETI@home si basa sul contributo dei computer sparsi nelle case di tutto il mondo, in grado di collegarsi ad Internet, per eseguire l’enorme quantità di calcoli necessari a raggiungere la sensibilità prefissata. Senza alcuna esperienza possiamo anche noi partecipare, sfruttando i tempi in cui ci allontaniamo dalla tastiera, alla ricerca di segnali artificiali propagati nello spazio da eventuali tecnologie aliene.

La trasmissione di messaggi radio su molte frequenze è il sistema di comunicazione meno efficiente, a causa della elevata quantità di energia richiesta, mentre concentrare la potenza su un segnale quasi monocromatico consente poi, alla ricezione, di ripulirlo più facilmente dai vari disturbi di fondo e ciò diventa tanto più importante quanto più lontana è l’emittente. Questa è la ragione per cui cercare segnali, dispersi su un’estesa gamma di frequenze, sembra una strategia assai meno utile che analizzare quelli con ampiezza di banda ristretta. Ridurre l’intervallo dello spettro radio, su cui concentrare l’attenzione, significa anche aumentare enormemente il numero dei candidati; poiché non esistono indicazioni, per conoscere in anticipo la frequenza adoperata dagli eventuali trasmettitori extraterrestri, è necessario procedere ad una selezione, secondo i criteri dettati dall’andamento del rumore di fondo.



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L’area disturbata dello spettro (in rosso) è la combinazione del rumore a bassa frequenza proveniente dalla Galassia e di quello ad alta frequenza dell’atmosfera terrestre; nella zona più tranquilla si trova il così detto “buco dell’acqua” (in blu), compreso tra le linee di emissione dell’idrogeno (H) e dell’ossidrile (OH), la finestra radio ritenuta più adatta alla ricerca di segnali extraterrestri artificiali.


Su quali frequenze mettersi all’ascolto?

Ogni radiotelescopio capta i disturbi a bassa frequenza provenienti dalla Galassia ai quali si aggiungono quelli ad alta frequenza dell’atmosfera terrestre; riportando su un diagramma le diverse forme di rumore si evidenzia una zona dello spettro relativamente tranquilla, tra 1 e 10 GHz (da 1 a 10 miliardi di vibrazioni il secondo), entro cui sembra più opportuno mettersi all’ascolto. La natura fornisce poi il modo per restringere ulteriormente tale campo: l’idrogeno (H), presente ovunque nello spazio interstellare, emette a 1,42 GHz, mentre l’ossidrile (OH) lo fa a circa 1,64 GHz. Le due specie chimiche, insieme, formano una molecola essenziale alla vita sulla Terra e l’intervallo, compreso tra le loro frequenze di emissione, si trova in una zona relativamente tranquilla dello spettro, chiamata “buco dell’acqua”, da molti ritenuta il canale più probabile per le comunicazioni interstellari.

I radiosegnali di origine terrestre possono essere facilmente distinti e scartati, perché non subiscono variazioni nel tempo, mentre quelli esterni hanno la durata di circa 12 secondi: un valore pari al tempo impiegato dalla sorgente per attraversare il fuoco fisso della parabola di Arecibo che non insegue le stelle, ma ruota solidale con la Terra raccogliendo i segnali dalla zona di cielo posta al suo zenit. Le sorgenti naturali emettono normalmente su moltissime frequenze e l’intensità del loro segnale cresce progressivamente raggiungendo il massimo in 6 secondi, per il motivo appena esposto, diminuendo poi, nello stesso periodo di tempo, sino a scomparire; le sorgenti artificiali extraterrestri dovrebbero presentare ancora il medesimo andamento nel tempo, ma emettere in un intervallo assai ristretto di frequenze con continuità oppure sotto forma di impulsi ravvicinati.



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I segnali ad ampia larghezza di banda sono generalmente prodotti da eventi naturali e rimangono visibili solo nei 12 secondi impiegati dalla sorgente ad attraversare il fuoco del radiotelescopio.


Il modo più efficace per analizzare i segnali ricevuti è quello di suddividere lo spettro di frequenza in intervalli molto piccoli e misurarne l’intensità di emissione, ma se il ricevitore impiegato non è in grado di distinguere tra due frequenze vicine può accadere che segnali molto intensi siano soffocati dal rumore di fondo. Capita qualcosa di analogo quando non riusciamo a distinguere il fischio emesso da qualcuno che, nel bel mezzo di una folla chiassosa, vuole attirare la nostra attenzione. L’orecchio percepisce intervalli di frequenza relativamente ampi e così il richiamo sonoro (quasi monocromatico) è sommerso dal rumore di fondo: ma utilizzando uno strumento adatto, in grado di distinguere l’intensità dei segnali su intervalli molto ristretti di frequenza, il fischio sarebbe immediatamente rilevato. Nello stesso modo SETI@home “ascolta il cielo” nelle diverse bande di frequenza che dall’ampiezza di 0,07 Hz raggiungono (raddoppiando il loro valore ogni volta) i 1.200 Hz, per individuare quei segnali che s'innalzano sensibilmente dal disturbo di fondo. In tal modo sono analizzate le emissioni, almeno 10 volte più deboli di quelle esaminate dalle altre ricerche in corso, utilizzando un algoritmo chiamato di integrazione coerente che sino ad ora era stato considerato proibitivo per l’enorme potenza di calcolo richiesta.

Naturalmente SETI@home non pretende di decifrare gli eventuali messaggi, trasmessi per stabilire un “contatto” oppure involontariamente dispersi nello spazio esterno dagli abitanti di un lontano pianeta, ma tenta di individuare le onde portanti associate a tali comunicazioni. I segnali radio sono scomposti, mediante l’impiego di spettrografi multicanale, in una miriade di intervalli di frequenza e da ciò deriva una quantità enorme di dati da analizzare. Questo compito è generalmente eseguito in tempo reale da potenti calcolatori che non sono comunque in grado di spingere l’elaborazione in profondità, sui segnali più deboli, senza comportare tempi e oneri economici proibitivi.



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Questo è l’aspetto che potrebbero avere i segnali cercati dal programma SETI@home: impulsi di radiazione, contenuti in una banda molto ristretta di frequenze, ai quali è associato un leggero effetto Doppler (rappresentato dalla pendenza della linea su cui sono disposti tali impulsi).


La nuova strategia viaggia attraverso Internet

Il problema può essere in qualche modo aggirato se, invece di un unico gigantesco e costosissimo calcolatore, sono impiegati moltissimi personal computer che operano in parallelo su parti differenti dei segnali raccolti. Il gruppo di scienziati che lavora al progetto SETI, presso l’Università di Berkeley, si è domandato dove fosse possibile recuperare le risorse di calcolo necessarie ad analizzare in dettaglio i circa 35 Gb di dati registrati ogni giorno. La soluzione del problema è stata individuata nella moltitudine di piccoli e medi computer che rimangono a lungo inutilizzati, sprecando corrente elettrica, in tutto il mondo. Il programma da loro ideato si rivolge ai proprietari di queste macchine per chiederne l’uso nei momenti di pausa, quando diventa attivo l’apposito salva schermo SETI@home e il codice di elaborazione associato.

I segnali radio raccolti ad Arecibo sono suddivisi in tantissime piccole “unità di lavoro”, distribuite tramite Internet a tutte le persone che hanno installato sui loro computer l’apposito salva schermo; quando SETI@home termina l’elaborazione dei dati precedentemente scaricati, automaticamente o sotto il controllo dell’utilizzatore, spedisce indietro i risultati, richiede una nuova unità di lavoro e al termine chiude il collegamento. Il trattamento di un singolo “pacchetto” con una CPU di velocità pari a 266 MHz e 32Mb di RAM, quest’ultimo è il limite minimo di memoria per il funzionamento del programma, dura circa 24 ore a condizione di non utilizzare il computer per altre operazioni. La trasmissione dei risultati, salvati in un piccolo file di dimensioni intorno a 10 kb contenente la mappa dei picchi di segnale oltre una certa soglia prefissata (circa 20 volte il rumore medio), e lo scarico di una nuova “unità di lavoro” occupano pochi minuti di collegamento ad Internet: proprio l’elevatissimo rapporto tra il tempo di calcolo e quello di trasferimento dei dati è alla base dell’intero progetto SETI@home.

I dati raccolti nell’ambito di questa ricerca si riferiscono ad una fascia dello spettro elettromagnetico ampia 2,5 MHz, centrata sulla frequenza di 1.420 MHz (corrispondente alla lunghezza d’onda di 21 centimetri), ma prima della loro distribuzione sono suddivisi in 256 parti, di ampiezza pari a circa 10 kHz, per rendere sufficientemente contenute le dimensioni dei pacchetti da trattare. Ognuno di questi contiene una registrazione della durata di 107 secondi, occupando 0,25 Mb di memoria che dopo l’aggiunta di alcuni dati anagrafici sale a 0,34 Mb. Una volta ricevuti i risultati delle 256 unità di lavoro, relative ai medesimi 107 secondi, i dati sono riassemblati ed archiviati; se di alcuni pacchetti distribuiti non si hanno più notizie allora copie degli stessi sono consegnate ad altri richiedenti.

I risultati dell’analisi possono talvolta mettere in evidenza qualcosa di strano, ma occorre rammentare che ciò può essere causato dalla grande quantità di interferenze radio prodotte da stazioni televisive e apparecchiature radar; inoltre alcuni segnali di prova sono aggiunti intenzionalmente, per controllare se le varie procedure lavorano correttamente. Ogni anomalia è dapprima confrontata con l’elenco delle sorgenti di interferenza già catalogate e nella maggior parte dei casi risultano appartenere proprio ad una di queste, mentre per quelle rimaste irrisolte si ripetono le osservazioni nella medesima area di cielo. Nel caso di conferma un altro gruppo sarà incaricato di eseguire nuove indagini sul segnale, utilizzando strumenti differenti, ed altre ancora ne seguiranno prima di diffondere la notizia della scoperta secondo modalità già prefissate: l’annuncio, diramato dalla International Astronomical Union, conterrà le principali informazioni (frequenza, ampiezza di banda, posizione nel cielo, ecc.) e la persona che, dal salotto di casa sua, individuerà il segnale figurerà tra gli scopritori.



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Il salva schermo, oltre a diverse altre informazioni, mostra riassunti in un grafico i risultati dell’analisi eseguita dal programma SETI@home, l’altezza delle barre verticali è correlata al grado di “artificiosità” del segnale.


Risultati in diretta sullo schermo del PC

Il salva schermo SETI@home si presenta suddiviso in tre aree destinate a fornire tutte le informazioni necessarie ad identificare l’utilizzatore, i dati trattati e i risultati ottenuti: nella sezione contrassegnata User Info è riportato il nome scelto nell’accredito da chi sta elaborando il corrente blocco di dati, il numero di unità di lavoro completate e il tempo totale in cui lo screen saver è rimasto attivo. La sezione Data Info contiene la posizione, in coordinate equatoriali, da cui il segnale proviene: il radiotelescopio di Arecibo consente di osservare solo una parte della volta stellata, nell’intervallo di declinazione compreso tra 2° sud e 38° nord. La risoluzione è pari a circa un decimo di grado e nei 107 secondi, cui si riferiscono i dati contenuti nell’unità di lavoro, l’antenna esegue la scansione su un arco di cielo ampio 0,6 gradi. La seconda linea di questa sezione indica l’istante centrale della registrazione, come tempo universale coordinato, la riga successiva riporta il nome dell'apparato ricevente usato e l’ultima specifica a quale dei 256 intervalli, in cui è stata suddivisa l’ampiezza di banda scelta, si riferisce il blocco di dati in elaborazione.

La zona denominata Data Analysis mostra lo stato di avanzamento del lavoro in corso, insieme alle sue principali caratteristiche, l’immagine sottostante rappresenta invece con maggiore immediatezza i risultati, ma ai colori impiegati non va attribuito alcun significato in quanto scelti solo per ragioni estetiche. Ogni barra verticale del grafico è correlata alla trasformata rapida di Fourier (FFT) ottenuta dai diversi valori scanditi, in sequenza, per risoluzione di frequenza, pulsazione ed effetto Doppler. Partendo dalla risoluzione di 0,075 Hz, solo 8 valori della FFT coprono i 107 secondi da analizzare, nell’elaborazione successiva si passa alla risoluzione di 0,15 Hz e 16 FFT, in tal modo si prosegue sino a raggiungere la risoluzione di 1.200 Hz con 131.072 FFT. L’analisi completa di ogni pacchetto richiede 175 miliardi di operazioni, la maggior parte delle quali è adoperata per completare l’esame alla massima risoluzione.

Il numero di utilizzatori del software SETI@home, intorno alla metà di giugno 2002, si avvicinava a 3,8 milioni e il tempo standard di elaborazione superava ampiamente il milione di anni: al quale i computer italiani hanno contribuito per l'1,2%, aggiudicando al nostro Paese solo la 13a posizione nella classifica continuamente aggiornata dai responsabili del progetto. Confrontando tra loro i dati si rileva che ci sono accreditate pressappoco la metà delle unità di lavoro esaminate dalla Svezia, con circa 9 milioni di abitanti, e forse le ragioni di ciò sono da ricercare nella scarsa pubblicità che da noi ha avuto l’iniziativa.

La realizzazione di un esperimento scientifico come questo, indipendentemente dall’esito che potrà avere, consente comunque di raggiungere dei risultati importanti e pertanto vale la pena eseguirlo. Ognuno di noi può dedicare, senza particolari oneri, un po’ del tempo che il suo computer trascorre senza far nulla, sostituendo con SETI@home il vecchio salva schermo, ed anche se avrà una probabilità estremamente piccola di diventare famoso, scoprendo il messaggio di qualche intelligenza aliena, almeno contribuirà a dire che il tentativo di trovarla è stato fatto.


Gianfranco Benegiamo

2a edizione: Giugno 2002


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Copyright © 2002 by Gianfranco Benegiamo (testo e immagini)
Pagina caricata in rete: 20 giugno 2002; ultimo aggiornamento: 20 giugno 2002