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"Parla lo scienziato che unì Est e Ovest"
Intervista esclusiva con Roald Sagdeev

di Stefania Maurizi

Pubblicata in "Tuttoscienze" de "La Stampa", 16 aprile 2003


Dal 1945 al 1991 il mondo ha combattuto una guerra mai scoppiata: la guerra fredda. E in quegli anni, una fetta consistente della produzione scientifica e tecnologica mondiale fu risucchiata dalla ricerca militare e segreta, al punto che, dopo il '91, gli americani e la comunità internazionale hanno cercato di "riconvertire" più di 40.000 scienziati ed ingegneri dell'ex-Unione Sovietica che avevano un expertise correlato alle armi di distruzione di massa.

Quanto agli Stati Uniti, invece, tra il '45 ed il '90, misero in piedi un arsenale di 70.000 bombe e testate nucleari (i dati provengono rispettivamente dai rapporti: "Closing the gaps", R. Civiak, 2002, e "Atomic Audit", S. Schwartz, 1998).

A cinquant'anni dalla morte di un'icona della guerra fredda, Josef Stalin, abbiamo intervistato il fisico teorico russo Roald Sagdeev, oggi professore emerito di fisica all'Università del Maryland (USA).

Professor Sagdeev, appena laureato all'università di Mosca nel '55, è entrato a far parte dell'Istituto dell'Energia Atomica di Kurchatov. Che faceva lì?
Facevo ricerca sulla fusione termonucleare controllata, che è uno dei processi fisici che per la produzione di energia, tuttavia, nell'Unione Sovietica di quegli anni era considerata"top secret", probabilmente a causa delle sue relazioni con la fusione incontrollata, che è invece il processo alla base della bomba H. Ma circa due anni dopo il mio ingresso all'Istituto di Kurchatov, Krusciov aderì all'iniziativa "Atomi per la Pace", lanciata dal presidente americano Eisenhower; il mio settore di ricerca fu desecretato ed io mi ritrovai a lavorare alla "luce del sole".

Kurchatov era il capo del programma nucleare di Stalin, scelto da Stalin in persona. Lei come evitò la ricerca sulle armi nucleari?
Con un po' di fortuna e grazie ad un intervento di altissimo livello: quello del mio maestro Lev Landau. Ovviamente cercarono di reclutare me e molti dei miei colleghi, ci spedirono pure nelle città-laboratorio segrete in cui venivano portate avanti queste ricerche, come Arzamas-16, ma io non volevo assolutamente saperne e Landau mi aiutò.

Questo tipo di ricerca ha assorbito tantissimi cervelli di prim'ordine. Che dire del suo maestro Landau e del suo amico Sakharov, che costruirono la bomba H russa?
Ho parlato molto con i miei professori per cercarne di capire le motivazioni profonde. Per la prima generazione di fisici nucleari, come Landau, che fecero le scoperte fondamentali, va ricordato che era in corso una guerra contro la Germania, che per noi russi fu assolutamente devastante. Lavorando alle armi nucleari, quasi tutti sentirono di contribuire a difendere la nazione dalla Germania, durante la guerra, e a stabilire un equilibrio strategico est-ovest, immediatamente dopo. Anche Sakharov rimase convinto che lavorare alla bomba H per Stalin fosse stata allora, cioè nei primi anni '50, la scelta giusta, perché essenziale per la sicurezza nazionale. Landau, invece, fu probabilmente l'unico della sua generazione per cui fu estremamente doloroso lavorarci, ma c'era Stalin. Per noi fisici più giovani, invece, la situazione era diversa: la scelta di lavorare alle armi nucleari fu determinata dal patriottismo, dalla fascinazione intellettuale, ma anche da fattori molto "terra-terra": salari migliori e, soprattutto, la possibilità di poter trovare immediatamente un appartamento, una cosa impensabile nelle grandi città come Mosca.

Lei ha lavorato ai massimi livelli in anni quantomeno difficili: dal '73 all''88, è stato direttore dell'Istituto di Ricerca Spaziale di Mosca, il "contraltare sovietico" della NASA...
Il nostro istituto faceva ricerca spaziale di base, non era paragonabile alla NASA. Ma la storia venne fuori nel '72: Nixon e Breznev, che avevano deciso di iniziare a limitare la corsa agli armamenti, volevano una dimostrazione pubblica della distensione in corso e così idearono la prima missione spaziale congiunta USA-URSS, l'Apollo-Soyuz. Il grosso delle attività spaziali sovietiche, però, era segreto perché legato allo sviluppo di missili, e così il governo capì immediatamente che per coprire le attività vere serviva un istituto che facesse da vetrina. Fu scelto il nostro e tutti gli ingegneri russi che lavoravano per l'Apollo-Soyuz venivano ad incontrare gli americani da noi, ma in realtà facevano ricerca in istituzioni e aziende coperte da segreto. Perfino quando portarono gli americani alla piattaforma di lancio di Baikonur, quella da cui partì Gagarin, inventarono loro: "Sì, sì, la piattaforma è dell'istituto, loro controllano tutto, sono la nostra NASA". Tra noi, le autorità sovietiche e gli americani fu un teatrino indimenticabile, perché gli americani avevano capito tutto! E noi dell'istituto avevamo capito che loro avevano capito!

Lei scherza, ma in realtà negli anni in cui fu direttore, guidò varie missioni spaziali internazionali, come quella per studiare la cometa di Halley, e cercò di fare del suo instituto un centro di ricerca "aperto", lottando contro un modello di scienza soffocata dal militarismo e dalla segretezza. Era possibile portare avanti queste lotte senza farsi male?
Cercai alleati e giocai scientemente questa carta: poiché eravamo probabilmente l'unico istituto del programma spaziale sovietico che non faceva ricerca segreta, se fossimo stati risucchiati anche noi, l'Unione Sovietica non avrebbe avuto un solo programma spaziale non militare. Questo poteva risultare così imbarazzante per l'immagine internazionale del nostro paese, che perfino nel KGB ci fu chi capì la mia posizione. Comunque, la lotta fu dura perché le pressioni erano molto forti e provenivano sia dall'esterno, cioè dal complesso industriale-militare, sia da alcuni scienziati dell'istituto, che volevano lavorare su contratti militari perché rendevano più della scienza normale. Alcuni dei miei colleghi inoltrarono proteste contro di me, segnalando anche al KGB che boicottavo i "doveri patriottici" ed io detti perfino in escandescenza e presentai le dimissioni un paio di volte, ma furono respinte.

Come consigliere scientifico di Gorbaciov in materia di spazio, lei ebbe un ruolo cruciale nel far si che il leader sovietico non si lanciasse nelle "Guerre Spaziali" annunciate da Reagan nell'83. Pur con notevoli varianti, lo scudo spaziale americano è di nuovo in auge. Cosa pensa della militarizzazione dello spazio?
C'è una forma di militarizzazione che ormai è già avvenuta e che, personalmente, giudico "benigna": potenze come gli Stati Uniti e la Russia hanno messo in orbita da tempo satelliti militari per le comunicazioni o per il rilevamento di lanci di missili a "sorpresa". Ciò che non è ancora avvenuto è la messa in orbita di armi, cioè di piattaforme spaziali con laser, ecc. che possono colpire e distruggere missili e satelliti di altre nazioni. Se questa militarizzazione "maligna" avverrà, innescherà di nuovo un'inarrestabile corsa agli armamenti. Sto cercando di attivarmi per stimolare un dibattito pubblico sul tema.

Avviandoci a concludere, nel 1990 lei ha sposato Susan Eisenhower, la nipote del presidente americano che è stato il primo comandante della NATO. Il KGB le disse: "questo matrimonio non s'ha da fare"?
Non abbiamo avuto pressioni di questo tipo, ma chiaramente informammo dei nostri progetti le autorità sovietiche, che ci dissero di non aspettarci una standing ovation. L'ex segretario americano alla difesa, Robert McNamara, invece, alla nostra festa di matrimonio brindò dicendo: "con questo matrimonio finisce la Guerra Fredda e comincia il riscaldamento globale!"

Con la fine dell'era Gorbaciov, la guerra fredda è in effetti finita, l'Unione Sovietica non c'è più, lei vive in America ed il terrore viene dalle armi biologiche. Parla ancora della Russia ai suoi studenti?
A volte, ma gli americani non sono più interessati ad essa come 20 anni fa, tuttavia sono interessati a Putin. Mia moglie ed io siamo appena tornati da Mosca, dove abbiamo avuto un colloquio con Putin sulla militarizzazione dello spazio. Ora ci fanno molte domande.


ENGLISH VERSION

"Parla lo scienziato che unì Est e Ovest"
Interview with Roald Sagdeev

by Stefania Maurizi

Originally published in "Tuttoscienze" of "La Stampa", 16 April 2003


From 1945 to 1991, the world had fought a war which never broke out: the Cold War. In those years, a significant proportion of scientific and technological production was absorbed by military and secret research, to the extent that, after 1991, the Americans and the international community tried to "reconvert" more than 40,000 former Soviet Union scientists and engineers with weapons-of-mass-destruction-related expertise.

As for the United States, from '45 to '90, it set up a nuclear arsenal which numbered 70,000 warheads and bombs (These data can be found in the following reports: "Closing the gaps", R. Civiak 2002, and "Atomic Audit", S. Schwartz, 1998).

Fifty years after the death of one of the Cold War icons, Joseph Stalin, we here interview the Russian theoretical physicist Roald Sagdeev, who is currently Distinguished Professor of Physics at the University of Maryland (USA).

Professor Sagdeev, after you graduated in physics at the university of Moscow in 1955, you entered the Kurchatov Institute of Atomic Energy. What did you do there?
I was doing research in controlled thermonuclear fusion, which is one of the processes to produce energy. In those years, however, it was considered a "top secret" matter in the Soviet Union, and that probably was due to its relationship with uncontrolled thermonuclear fusion, which is the process at the basis of the H-bomb. However, two years after I arrived at the Institute, Khrushchev adhered to the "Atoms for Peace" initiative launched by the American president Eisenhower; then my research field was declassified and I found myself doing research "under the sun".

Kurchatov was head of scientific research for Stalin's nuclear weapons program and Stalin personally chose him as its leader. How did you avoid research on nuclear weapons?
Both thanks to some luck and to a very high level intervention: that of my mentor Lev Landau. They tried of course to recruit me and some of my colleagues, and we also were shipped to the secret nuclear weapons-labs, such as Arzamas-16, but I definitely did not want to do military research and Landau helped me.

That kind of research absorbed so many top-level brains. What about your mentor Landau and your friend Sakharov, who built the Russian H-bomb?
I had a lot of conversations with my mentors to understand their motivations more deeply. With regards to the first generation of nuclear physicists, such as Landau, who made the fundamental discoveries, we have to keep in mind that there was a war going on against Germany which for we Russians was absolutely devastating. By working on nuclear weapons, almost all of those physicists felt they could contribute to defending their nation from Germany during the war, and to establishing a strategic balance between East and West immediately after the war. Sakharov also remained convinced that working on the H-bomb for Stalin at that time, that is in the early '50s, was the right choice, as it was essential for national security. Landau was probably the only one of his generation for whom working on nuclear weapons was extremely painful, however Stalin was in power. For the younger generation of physicists, like me, the situation was different and atomic weapons work was a choice determined by patriotism, by intellectual fascination, but also by very material factors: the people who worked on them had better salaries and, most of all, could immediately find an apartment, which was unthinkable in big cities such as Moscow.

You did research at the highest levels in years that were, to say the least, difficult: from 1973 to 1988, you were the director of the Space Research Institute in Moscow, the "Soviet counter- altar" of NASA...
Our institute was doing basic research, it was not comparable to NASA. But this story came out in 1972: Nixon and Brezhnev, who had decided to start limiting the arms race, wanted a public demonstration of the détente in progress, and then they came out with the first USA-USSR joint space mission: the Apollo-Soyuz. However, the bulk of Soviet space activities was classified, as it was linked to the development of missiles. Therefore the Soviet government immediately understood that in order to cover their real activities, an institute was necessary to play a window-dressing role. They chose our institute, and all Soviet engineers working on Apollo-Soyuz came to meet the Americans at our institute, though in reality they did research in classified companies and institutions. Even when the Americans were brought to the Baikonur launch platform, where Gagarin was launched, the Soviet authorities came up with: "Oh yes, this is the institute's platform, they control everything and they are our NASA". We at the institute, the Soviet authorities and the Americans, played such an unforgettable act! The Americans had understood everything and we at the institute understood that they had understood!

You are joking, but in reality in the years you were the director you were head of several international space missions, such as that to study Halley's comet. And you tried to make your institute an open research center, struggling against a science model which was not buried under secrecy and militarism. Was it possible to struggle in this way without running risks?
I tried to find allies, and I consciously played this card: since we were probably the only institute doing unclassified research, if we also had been absorbed by military research, the Soviet Union would not have had even a single civil space program. And this situation would have been so embarassing for our international image, that even in the KGB there were people who understood my position. Nonetheless, the struggle was hard as there was strong preassure both from outside, that is from the military-industrial complex, and from inside, because some scientists in our institute wanted to work on military research since it was more remunerative than open science. Some of my colleagues sent letters against me, they even complained to the KGB that I was boycotting "patriotic duties". I even threw temper tantrums and resigned a couple of times, but my resignations were rejected.

As Gorbachev's science adviser in space matters, you had a crucial role in keeping him from launching into the "Star Wars" project announced by Reagan in 1983. Although with big modifications, the American space shield is back in fashion. What do you think about the militarization of space?
There is a form of militarization which has already taken place and which I personally judge a "benign" one: powers such as the United States and Russia put into orbit military satellites for communication and detection of surprise missile launches. What has not already taken place is the putting into orbit of weapons, that is space platforms equipped with lasers, etc. that can hit and destroy other nations' missiles and satellites. And if this kind of "malign" militarization happens, it will start a new unstoppable arms race. I am trying to stimulate a public debate on this issue.

Going towards the conclusion, in 1990 you married Susan Eisenhower, the grandaughter of the American president who was the first Commander of NATO. Did the KGB tell you that that marriage was really "not on"?
We did not have this kind of pressure. Of course we informed the Soviet authorities about our projects and they told us not to expect a standing ovation. Whereas during our wedding celebration the former American Secretary of Defense, Robert McNamara, raised his glass and said: "This marriage signifies the end of the Cold War and the beginning of global warming!"

In effect, with the end of the Gorbachev era the Cold War finished, the Soviet Union no longer exists, you live in America, and terror comes from biological weapons. Do you still speak about Russia to your students?
Sometimes I do, but the Americans are no longer interested in Russia as they were 20 years ago. Nevertheless, they are interested in Putin. My wife and I have just come back from Moscow where we had a conversation with Putin about the militarization of space. We are getting a lot of questions.


Si ringraziano l'autrice del testo e l'editore per la concessione dell'articolo.


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Pagina inserita in rete: 25 giugno 2003; ultimo aggiornamento (2°): 14 febbraio 2004