Transiti storici di Venere

Un fenomeno singolare osservato solo cinque volte nel passato

di Gianfranco Benegiamo


Crabtree


Il transito del 4 dicembre 1639 fu seguito anche da William Crabtree, un commerciante di Manchester, cui l’amico Jeremiah Horrocks aveva fornito le previsioni dell’evento (cortesia Astronomes Amateurs du Luxembourg ).


Il passaggio di Venere davanti al Sole, spettacolo visibile tra breve da buona parte del continente europeo, rappresenta un evento piuttosto raro che sino ad oggi è stato osservato solo cinque volte. L’inclinazione dell’orbita, anche se di pochi gradi soltanto, impedisce di osservare la sagoma oscura di Venere proiettata sul disco solare durante ogni congiunzione inferiore. L’allineamento accade solo quattro volte in 243 anni, con una sequenza piuttosto singolare, quando il pianeta attraversa l’eclittica, nel nodo orbitale ascendente oppure discendente, e contemporaneamente raggiunge la minima distanza dalla Terra. I primi due transiti della serie sono distanziati da otto anni, in entrambe le occasioni cadono intorno al 6 dicembre, quindi occorre attendere 105,5 anni prima che si ripetano ancora in coppia, intervallati sempre da otto anni, intorno alla data del 7 giugno, e infine sono necessari altri 121,5 anni per iniziare un nuovo ciclo.

I precedenti allineamenti di Venere sono stati molto importanti dal punto di vista scientifico, perché consentirono di migliorare la precisione della parallasse solare: termine usato per indicare l’angolo medio sotteso dal raggio terrestre per un ipotetico osservatore situato nel centro del Sole. L’ultimo transito fornì ancora un rilevante contributo al difficile compito di assegnare le giuste dimensioni al sistema solare: ma l’impiego di asteroidi tipo Near-Earth, scoperti intorno alla fine dell’Ottocento, e successivamente l’introduzione del rilevamento radar ridimensionarono grandemente l’importanza pratica di questi rari allineamenti. Resta comunque unico lo spettacolo che la Natura organizzerà per il prossimo 8 giugno e nell’attesa può essere interessante ripercorrere brevemente cosa capitò in passato, soprattutto le prime volte, quando Venere "eclissò" il Sole.

L’avviso di Keplero

La singolare configurazione in cui si possono trovare i pianeti più vicini al Sole rimase inaccessibile sino a quando Galileo Galilei, nell’estate del 1609, iniziò a scrutare il cielo con un rudimentale cannocchiale. Il piccolo diametro apparente dei pianeti interni e le difficili condizioni d’osservazione, causate dalla luce abbagliante del Sole, sembrano escludere che in epoca pretelescopica qualcuno sia riuscito a osservare il fenomeno ad occhio nudo.

I primi allineamenti furono previsti da Giovanni Keplero, calcolando le effemeridi planetarie, e nel breve scritto pubblicato a Lipsia nel 1629, Admonitio ad astronomos (Avviso agli astronomi), annunciò che due anni dopo Mercurio e Venere sarebbero passati davanti al Sole. L’opera esortava a osservare le singolari configurazioni: soprattutto quella di Venere, perché la stessa si sarebbe ripetuta solo dopo oltre un secolo.

L'invito, divulgato pochi mesi prima della scomparsa di Keplero, fu raccolto da Pierre Gassendi, professore di matematica al Collège de France e convinto sostenitore della teoria copernicana, che il 7 novembre 1631 individuò un puntino nero sul disco del Sole. Gassendi lo confuse da principio con una macchia solare, perché l’ombra del pianeta aveva dimensioni molto inferiori a quelle attese: la minuscola area oscura, però, viaggiava a velocità troppo sostenuta per essere una delle formazioni superficiali mosse dalla rotazione del Sole.

Lo spettacolo offerto da Mercurio aumentò considerevolmente le attese del matematico per il transito di Venere, previsto nei primi giorni del mese successivo, anche se le effemeridi indicavano che il fenomeno sarebbe iniziato in Europa solo dopo il tramonto. La remota possibilità di qualche inesattezza nei calcoli spinse Gassendi a controllare, per tutto il pomeriggio del 6 dicembre 1631, l’eventuale comparsa di una nuova "macchia" sul bordo del disco solare.

Il metodo d’osservazione utilizzato da Gassendi, per evitare di restare abbagliato dalla luce, consisteva nell’orientare il telescopio in maniera da proiettare l’immagine del Sole su un foglio di carta sistemato all’interno di un locale in penombra. Il matematico francese si proponeva di misurare, confrontando le dimensioni del Sole con quelle dell’ombra prodotta dal pianeta analogamente a quanto aveva già fatto con Mercurio, anche il diametro angolare di Venere. Il transito iniziò nelle prime ore del giorno successivo, quando Parigi era ancora immersa nelle tenebre della notte, e dall’altra parte del mondo non c’erano astronomi per studiare quel singolare fenomeno. Keplero era riuscito a individuare il periodo principale dei transiti di Venere, stimandolo pari a circa 120 anni, ma gli mancò il tempo per scoprire che questi si succedono in coppie separate da otto anni.

Venus in sole visa

La scarsa precisione riscontrata nelle effemeridi dell’astronomo belga Philip van Landsberge, riportate nelle Tabulae Motuum, indusse un giovane autodidatta inglese, Jeremiah Horrocks (1619-1641), a calcolare per proprio conto quale posizione avrebbero occupato i pianeti sulla volta stellata. Nel corso di numerose osservazioni notturne, eseguite con l’aiuto di un piccolo rifrattore, Horrocks trovò che le sue previsioni erano più affidabili di quelle fornite da Landsberge e talvolta paragonabili alle Tavole rudolfine compilate da Keplero. Ciò lo indusse ad accettare con fiducia, nell’ottobre 1639, i risultati che indicavano per il 4 dicembre seguente un nuovo passaggio di Venere davanti al Sole. Il giovane inglese comunicò le sue previsioni all’amico William Crabtree, un commerciante di Manchester col quale condivideva l’interesse per lo studio del cielo, che sarà il solo altro testimone del primo transito storico di Venere documentato con certezza.

L'importante contributo dato allo sviluppo di una moderna teoria lunare e le profonde intuizioni, legate a diversi settori dell’astronomia, anticiparono le grandi potenzialità di Horrocks: la prematura scomparsa, però, gli impedirà di esprimere compiutamente il suo genio. Horrocks seguì il transito solo durante la mezz’ora precedente il tramonto, perché trattenuto altrove da improrogabili impegni, proiettando su un foglio di carta l’immagine del disco solare che stimò almeno 30 volte più grande rispetto a quello di Venere. Il resoconto di questa esperienza, nonché il tentativo di utilizzarla per calcolare la parallasse solare, fu poi pubblicato postumo nell’opera Venus in sole visa.

Le dimensioni apparenti dei pianeti, così come quelle delle stelle più luminose, rimasero enormemente sovrastimate sino al XVII secolo: Tycho Brahe attribuiva a Venere il diametro di 12 primi d’arco, circa una dozzina di volte superiore all’ampiezza massima misurabile durante la congiunzione inferiore, mentre il suo assistente Keplero riteneva che fosse di 7'. Il valore di 1' 16" trovato da Horrocks, anche se un po’ maggiore di quello reale, contribuì a migliorare notevolmente la precisione di questa misura. Le dimensioni rilevate durante il transito, una volta abbinate al periodo di rivoluzione dei pianeti (la terza legge di Keplero, infatti, permette di ricavare il rapporto tra i raggi delle orbite planetarie), consentì a Horrocks di stabilire che un osservatore situato nel Sole avrebbe misurato il diametro di Venere uguale a 28 secondi d'arco. Ottenne pressappoco lo stesso risultato impiegando 20 secondi d’arco, valore trovato da Gassendi otto anni prima, per la dimensione angolare di Mercurio. L’inglese a questo punto ipotizzò, senza qualche fondata ragione a parte forse l’inutile pregio estetico spesso ricercato dagli eruditi di quel periodo, che il diametro dei pianeti dovesse crescere in proporzione diretta con l’ampiezza della loro orbita. Ciò avrebbe fatto sottendere a tutti lo stesso diametro apparente, se osservati dal Sole, e di conseguenza stimò uguale a 14 secondi d’arco la parallasse solare. L’unità astronomica, definita come distanza media tra Terra e Sole, raggiungeva così i 15.000 raggi terrestri: il valore ottenuto, nonostante la premessa errata su cui si basava il ragionamento del giovane inglese, per una fortunata casualità approssimò quello reale assai meglio di ogni precedente misura e l’orbita terrestre iniziò a diventare molto più grande di quanto avessero mai immaginato prima gli astronomi. La parallasse solare, infatti, era stata considerata pari a 3 primi d'arco da Tycho, mentre Keplero la giudicava almeno tre volte più piccola e ciò portava ad appena 3.500 raggi terrestri il valore ritenuto più attendibile per l’unità astronomica.

La posizione di Marte rispetto alle stelle più vicine durante l'opposizione, quando il pianeta raggiunge la minima distanza dalla Terra, consentì agli astronomi dell'Accademia Reale delle Scienze di Parigi di eseguire la prima misurazione attendibile della parallasse solare. Nell'autunno del 1672 Jean Richer raggiunse la Guyana, località situata tra Venezuela e Brasile, per osservare Marte: confrontando le sue misure con quelle eseguite a Parigi da Gian Domenico Cassini fu possibile stabilire la distanza del pianeta e quindi la parallasse solare.

Intorno all’inizio di ottobre Marte passò vicinissimo a una stella di magnitudine superiore alla quarta, contrassegnata dal catalogo di Bayer come y2 Aquarii, e fu proprio confrontando congiunzioni in longitudine come questa, rilevate da località tanto lontane, che Cassini poté stimare pari a 9,5" la parallasse solare: il raggio dell'orbita terrestre, pertanto, superò di oltre 20.000 volte quello della Terra.


James Cook


Francobollo commemorativo della spedizione guidata da James Cook a Tahiti per osservare nel 1769 il transito di Venere (cortesia http://sio.midco.net/danstopicalstamps/).


I transiti del 1761 e 1769

Il transito di Venere sarà poi considerato, solo pochi decenni dopo l’azzardato tentativo di Horrocks, il metodo più utile per stabilire con precisione il valore dell’unità astronomica. Nell’opera pubblicata nel 1663, Optica Promota, il matematico scozzese James Gregory fu tra i primi a suggerire la possibilità di impiegare a questo fine il passaggio dei pianeti interni davanti al Sole.

Il 7 novembre 1677 Edmond Halley, mentre poco più che ventenne soggiornava nell’isola di Sant’Elena, osservò il transito di Mercurio e l’esperienza lo portò più tardi alla conclusione di poter migliorare la precisione della parallasse solare utilizzando l’analogo allineamento di Venere. Nel 1716 pubblicò sulle Philosophical Transactions della Società Reale un appello rivolto alle nuove generazioni di astronomi: affinché utilizzassero il successivo transito, atteso il 6 giugno 1761, per misurare la distanza tra Terra e Sole. L’articolo descriveva un metodo relativamente semplice, per ottenere questo importante risultato, utilizzabile anche da persone dotate di conoscenze astronomiche piuttosto limitate.

Halley riteneva, in base all’esperienza fatta a Sant’Elena, che la durata del fenomeno potesse essere stimata con un’incertezza di solo pochi secondi e su ciò fondò l’ottimistica convinzione di offrire ai posteri un sistema capace di misurare l’unità astronomica con la precisione di una parte su cinquecento. Un fenomeno ottico inatteso, però, impedì di contenere entro due secondi, così come aveva ipotizzato l’astronomo, l’incertezza sulla durata complessiva del transito. Halley si rivolse agli astronomi di là da venire, consapevole di non avere l’età per riuscire a farlo personalmente, affinché seguissero con grande attenzione i successivi transiti di Venere: "Perché l’immensità delle sfere celesti, circoscritte in limiti più precisi, possa alla fine procurare loro gloria e fama eterne."

La lunghezza della corda disegnata sul disco solare varia con la latitudine dell’osservatore e ciò avviene in misura tanto maggiore quanto più il pianeta è vicino alla Terra: proprio questo rende particolarmente adatto, anche se si allinea con minore frequenza, Venere rispetto a Mercurio. Gli istanti consigliati da Halley per individuare inizio e fine del fenomeno, in quanto i più facili da apprezzare, erano individuati dal secondo e terzo contatto: quando i contorni di Venere e Sole, uno sovrapposto all’altro, hanno un solo punto in comune. Il grande vantaggio del metodo consisteva nell’evitare le complicate procedure necessarie a stabilire l’esatta longitudine del luogo scelto per l’osservazione: occorre rammentare che un’operazione del genere, anche se condotta dalla terraferma con la massima cura, comportava ancora in quegli anni notevolissimi margini di errore.

La misura della parallasse solare avrebbe coinvolto molte stazioni di rilevamento, sparse su un ampio intervallo di latitudini: le località dovevano essere scelte in modo da garantire agli astronomi, per le oltre sei ore impiegate da Venere a completare il transito, la presenza del Sole ben alto sopra l’orizzonte. Il metodo proposto nel 1753 dal francese Joseph-Nicolas Delisle consentì di utilizzare anche le registrazioni incomplete, per esempio a causa di un peggioramento delle condizioni meteorologiche o il tramonto del Sole prima della conclusione del fenomeno, purché si conoscesse con precisione la longitudine del sito scelto per le misurazioni.

Il transito seguente coinvolse, secondo alcune stime, più di cento astronomi distribuiti in varie decine di stazioni sparse sulla vastissima area geografica interessata dall’evento. Francia e Inghilterra fornirono i maggiori contributi con varie spedizioni oltre oceano, ma anche Danimarca, Germania, Italia, Portogallo, Russia e Svezia parteciparono attivamente all’impresa che vide una delle prime grandi mobilitazioni della comunità internazionale attorno a un progetto scientifico di comune interesse: l'impegno profuso sarebbe stato ancora maggiore, probabilmente, se l’allineamento non fosse capitato proprio nel bel mezzo della Guerra dei Sette Anni.

La maggior parte degli astronomi osservò il transito dal continente europeo, dove fu possibile apprezzare solo la parte finale, ma alcuni affrontarono viaggi avventurosi per raggiungere le località da cui avrebbero potuto seguirlo per intero: i partecipanti alle varie spedizioni affrontarono pericoli e disagi notevolissimi che solo in parte emergono dai loro resoconti.

Un promettente astronomo dell'Osservatorio di Greenwich, Nevil Maskelyne, attese il transito nell'Isola di Sant'Elena, mentre Charles Mason e il topografo Jeremiha Dixon raggiunsero il Capo di Buona Speranza. Il Governo del Massachusetts, invece, finanziò una spedizione guidata da John Winthrop, professore all'Università di Harvard, che seguì l’evento dall’estremo nord del Canada. L'astronomo Jean Chappe d'Auteroche, a capo di una spedizione francese, si recò nelle steppe gelate della Siberia; mentre Alexandre-Gui Pingré portò i suoi strumenti sino a Rodriguez, un'isola dell'Oceano Indiano ad est del Madagascar, e Guillaume Le Gentil tentò inutilmente di raggiungere la colonia francese di Pondichery in India.

La mattina del 6 giugno 1761 anche qualche astronomo italiano determinò l’istante in cui il transito si concludeva: Giovanni Battista Audiffredi, padre domenicano bibliotecario alla Casanatense, seguì il fenomeno dal piccolo osservatorio romano realizzato nel convento di Santa Maria sopra Minerva. Il direttore dell’osservatorio ubicato all’interno del convento di San Giovannino, padre Leonardo Ximenes, osservò il transito da Firenze ed Eustachio Zanotti dalla Specola di Bologna.

Gli astronomi incontrarono grandi difficoltà nell'apprezzare esattamente l'istante del secondo e terzo contatto, a causa dell’effetto chiamato "goccia nera" che rendeva confuso il limbo di Venere, e per tale ragione riuscirono a calcolare la parallasse solare con una precisione nettamente inferiore alle attese. I risultati delle elaborazioni eseguite da James Short, analizzando le numerose osservazioni disponibili, portarono a valori della parallasse distribuiti nell'intervallo compreso tra 8,28" e 10,60" (il valore oggi attribuito a questo fondamentale parametro è 8,794"). I due principali fattori che limitarono la precisione della parallasse erano riconducibili alla scarsa conoscenza della longitudine, per molte delle stazioni usate, e alle gravi difficoltà riscontrate nel rilevare esattamente inizio e termine del transito.


Glass


Il passaggio di Venere davanti al Sole fotografato il 6 dicembre 1882 (cortesia U.S. Naval Observatory Library).


Eros sostituisce Venere

L'incertezza causata dal fenomeno della "goccia nera", almeno un minuto per gli astronomi attrezzati con i migliori telescopi, fu attribuita alla densa atmosfera che secondo il chimico russo Mikhail Lomonosov circondava il pianeta.

L'inadeguatezza dei risultati ottenuti aumentò l’impegno dedicato al transito successivo: il 3 giugno 1769 molte delle quasi ottanta stazioni sparse per il mondo utilizzarono telescopi acromatici e le migliori attrezzature nel frattempo costruite per stabilire la longitudine. Un’isola dei Mari del Sud, Tahiti, fu inserita tra le località ritenute ottimali per osservare l’allineamento e proprio questa diventò la meta di uno dei viaggi più avventurosi intrapresi per l’occasione. La spedizione guidata da James Cook, con al seguito lo sfortunato astronomo Charles Green, partì a bordo del veliero Endeavour per un viaggio che tra le varie finalità aveva anche quella di cercare il continente ancora sconosciuto, l’ipotizzata Terra Australis Incognita (una volta scoperta prenderà il nome di Australia), e disegnare mappe più precise per le coste della Nuova Zelanda.

Le osservazioni fornirono dati per centinaia di pubblicazioni scientifiche e quasi altrettante furono le parallassi solari proposte: il valore di 8,58", calcolato nel 1824 dall’astronomo tedesco Johann Franz Encke utilizzando i migliori rilevamenti, fu adottato da vari almanacchi nautici sino alla metà dell’Ottocento.

Strumenti d’indagine sconosciuti ai tempi del Capitano Cook, come fotografia e spettroscopia, consentirono di apprezzare con una precisione senza precedenti la durata degli ultimi due passaggi di Venere davanti al Sole. L’allineamento celeste del 9 dicembre 1874 fu studiato anche da una spedizioni italiana guidata da Pietro Tacchini, astronomo presso l’Osservatorio di Palermo, che per l’occasione si recò in India. I rilevamenti furono condotti con il metodo tradizionale e con quello spettroscopico, come suggerito da Angelo Secchi, ma gli istanti dei contatti ottenuti usando queste tecniche presentarono differenze di oltre due minuti. Il transito del 6 dicembre 1882, seguito ancora da numerose spedizioni, suscitò un entusiasmo più contenuto: le attese riposte da principio in questi rari allineamenti, infatti, si stavano spostando verso nuovi e più affidabili metodi di misura.

Nel 1877 David Gill organizzò una spedizione per raggiungere l'Isola di Ascension, dove intendeva ripetere i rilevamenti di Cassini e Richer sulla posizione di Marte all’opposizione. Il risultato ottenuto, pari a 8,78", fu poi confermato dallo stesso astronomo misurando la parallasse di alcuni asteroidi (7-Iris, 12-Vittoria e 80-Saffo) che tra 1888 e 1889 si trovavano all’opposizione.

I corpi minori conosciuti in quel periodo potevano raggiungere una distanza dalla Terra circa doppia rispetto a quella minima di Marte, ma ciononostante Gill riteneva che le minori dimensioni angolari rendessero l’impiego di questi oggetti più vantaggioso rispetto al Pianeta Rosso. L’asteroide (433) Eros, scoperto il 13 agosto 1898 da Gustav Witt e Auguste Charlois, migliorò notevolmente l’affidabilità del metodo: le fotografie riprese durante l'opposizione del 1900, quando il pianetino passò a solo 0,32 unità astronomiche dalla Terra, consentirono di fissare la parallasse con una precisione mai ottenuta prima di allora.

L'interesse scientifico per un fenomeno singolare come il transito, a lungo ritenuto il mezzo migliore per misurare l’unità fondamentale dell’astronomia, è stato praticamente azzerato nell’ultimo secolo, ma dai tempi di Jeremiah Horrocks resta immutata l’emozione che può procurare lo spettacolo di Venere mentre passa davanti al Sole.

Vai a Cook e il quadrante scomparso


Gianfranco Benegiamo

Marzo 2004


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Pagina caricata in rete: 19 marzo 2004; ultimo aggiornamento (1°): 20 marzo 2004