Dalle origini al
secolo VIII
Notizie generali - Primi popoli -
Alfiano, Pieve, Grumone, Aspice - Periodo longobardo
Benché non esistano documenti per stabilire con precisione a quale epoca risalga
l'abitazione di queste terre, tuttavia la toponomastica e gli studi paleontologici recano
prove sicure per dimostrare che, fino dagli antichi tempi, vari popoli scesero nella
nostra pianura e fermarono le loro abitazioni sulle rive dell'Oglio. Infatti, quando le
terre erano impraticabili per le foreste e le paludi, le rive dei fiumi erano le uniche
vie alle immigrazioni dei popoli.
Gabriele Rosa giustamente avverte che "pel Po, pel Mincio, per l'Adda, per
l'Oglio, nei tempi preistorici risalivano Liburni, Veneti, Umbri ed Etruschi, rimontando
per l'Oglio a Canneto. ad Ostiano e più ancora a Pontevico, stazione commerciale, che,
prima dei Romani, dovette portare altro nome".
E' noto, poi, che sulle rive dell'Oglio nei pressi di Robecco sarebbe sorta, secondo
alcuni e come segna la Tavola Peutigeriana o Teodosiana, l'antica Bedriaco, città
Gallo-Romana e forse Etrusca. (Questa insigne Tavola indica le vie militari Romane
nell'Impero d'Occidente, le distanze dei luoghi che fiancheggiano le vie, i capiluoghi, le
fortezze, le colonie. Pare probabile venisse compilata nell'anno 333 per ordine
dell'imperatore Teodosio, dal quale prese il nome).
Tombe ed iscrizioni Romane con vari oggetti dell'epoca si rinvennero a Robecco, Pontevico,
Binanuova, Seniga.
Di origine Romana al dire del Robolotti è Alfiano Vecchio e Nuovo con Grumone. Il nome fu
dato a queste località dalla famiglia Romana Alfena.
Il prof. Legnazzi che ebbe a studiare con scrupolosa diligenza la topografia della zona
che si estende a sud-ovest di Brescia ritiene che all'epoca Romana, questa sia stata una
delle terre più popolate. Infatti durante l'età gloriosa dell'Impero, molti nobili
avevano qui larghi possedimenti e furono essi che aprirono vie, costruirono Vici o
Castelli, si adoperarono per far prosperare l'agricoltura ed il commercio.
Con la decadenza dell'impero Romano e per le frequenti irruzioni dei barbari, queste
terre subirono spogliazioni e devastazioni e le popolazioni gemettero nella miseria e
nella degradazione. Odoacre re degli Eruli, costringendo l'imperatore Romulo Augustolo ad
abdicare, segnò la fine dell'impero romano d'Occidente, tolse ai vinti un terzo delle
terre e le divise tra i soldati ( a. 476 ).
Intanto un altro esercito barbarico scendeva in Italia sotto il comando dell'ariano
Teodorico: l'esercito Goto. Teodorico riuscì a disperdere gli Eruli e rimase padrone e
Re. Diede ai soldati quel terzo delle terre che Odoacre aveva distribuito ai suoi (a.
492). Anche queste nostre zone bagnate dall'Oglio passarono in mano ai Goti. Anzi, stando
a quanto racconta il Robolotti, bisogna ascrivere a quest'epoca e ai Goti la fondazione
del villaggio di Aspice che allora si chiamava Vico Furio.
Teodorico, benché barbaro, con varie leggi ispirate a mitezza cercò di accaparrarsi gli
animi e di temperare le enormi sciagure. Fece rifiorire l'agricoltura, e perché
ritornasse il commercio proibì ai pescatori di inceppare con chiuse il corso dell'Oglio e
volle che fosse solcato da barche o dromoni.
Il decreto di Teodorico (a. 500) diceva "retibus non sepibus esse piscandum".
Travolto da Narsete l'impero di Teodorico (l'anno 563), venne in Italia dalle Alpi Giulie
re Alboino a capo dei Longobardi che, devastati città e castelli, pose i suoi
accampamenti sulle rive dell'Oglio, oltre Alfiano, in quella località che da lui prese
nome Pralboino. E' di quest'epoca l'apparizione dei Duchi. Erano nobili del seguito che,
non contenti del terzo delle terre ma assetati dal desiderio di dominio, s'imposero con la
violenza e costrinsero gli abitanti dei vici o castelli a versare anche il terzo dei
frutti.
Già padroni ormai del Bresciano, i Longobardi spinsero le loro conquiste da Alfiano fino
a Sospiro. Tra gli anni 759-769, re Desiderio ed Ansa sua moglie fondarono a Brescia il
monastero delle Monache di Santa Giulia, e poiché prima Abbadessa fu Ansilperga, loro
figliuola, donarono al monastero diverse terre, tra le quali Alfiano. Nel Codex
Diplomaticus Longobardiae si legge l'inventario degli arredi sacri, terre, animali e
rendite di Alfiano spettanti a quel monastero.
Il Lucchini nella sua Storia narra a quest'epoca della fondazione di un monastero anche in
Alfiano. Dal documento riferito appare che il principe Ghisulfo, longobardo, morendo in
Brescia, chiamò eredi per la metà porzione dei beni che possedeva in Alfiano i monaci
del monastero di S. Maria di Brescia, affinché convertissero i redditi in opere buone a
suffragio dell'anima sua. La vedova principessa Radovara fece eseguire il testamento a
mezzo del Vescovo Ippolito di Lodi, il quale vendette al fratello del defunto, Arioaldo,
la parte ereditata in Alfiano per la somma di 3850 soldi oro. Con tale somma fondò il
nuovo monastero in Alfiano.
Nessun altro documento ho trovato a riguardo di questo monastero, il che fa pensare che si
tratti del monastero vicino alla chiesa di Pieve-Grumone. Ad Alfiano infatti riscossero
continuamente i frutti le monache di S. Giulia di Brescia. In questo tempo Alfiano fu
chiamato Corte d'Alfiano. La chiesa dipendeva dalle monache di S. Giulia; i parroci
"pro tempore" venivano nominati dall'Abbadessa e dopo l'approvazione
dell'Ordinario ricevevano da Essa l'istituzione canonica. Ancora le monache pensavano ogni
anno a pagare e mantenere il predicatore durante il tempo quaresimale.
Sull'Oglio avevano ogni diritto e potevano tenere barche per il trasporto dei frutti e per
uso privato. In avvenire, come vedremo, nasceranno abusi e verrà emanato un proclama
proibitivo.
Anche il dominio Longobardo era alla fine, perché negli anni 754-774 scesero in Italia i
Franchi e rimasero signori incontrastati.
Il secolo IX
Periodo Carolingio - Corte de' Frati
Pieve Grurmone - San Sillo - Motta
Ed eccoci al secolo IX, periodo del quale ben poche notizie sono tramandate che
interessano la nostra storia. Anzi si può aggiungere che durante tutta l'epoca carolingia
le notizie sono scarsissime. A questa età va segnata l'origine di Corte de' Frati che,
come avverte il Robolotti, si chiamava Corte de' Zeni, perché probabilmente feudo della
famiglia Zeni.
Questo nome "Corte" non deve far pensare ad un grosso centro perché, come
avverte il Muratori, "per corte nelle antiche carte alle volte si intesero non pur
vasti poderi, una parrocchia od una pieve, ma ben anche un castello od una piccola
fortezza".
Mentre i Longobardi. come abbiamo qui sopra accennato, avevano diviso le terre per Ducati,
i Franchi le divisero in Contee. Il Comitatus o contado formato da vari paesi era sotto la
giurisdizione di un Conte, al quale doveva ubbidire il territorio, sebbene le terre
formanti il contado fossero possedute da Luoghi Pii, da Monasteri o da Nobili. In seguito,
per singolare privilegio concesso dai re, alcune terre furono dichiarate esenti dalla
giurisdizione del Conte e cominciarono a governarsi da sé dipendendo soltanto dai
cosidetti Conti del Sacro Palazzo.
Sotto il dominio Carolingio la chiesa di Grumone fu appellata "pieve". Il nome
"Pieve", come osserva il Grandi, attribuito a varie chiese di questa o di
qualunque diocesi, ripetesi fin da remota età, e fu dato a quelle di primitiva origine,
le quali, esse sole, erano fornite di Battistero e perciò dette anche chiese battesimali,
e formavano distretto contenente dieci o più "vichi" o ville, dipendenti da
essa chiesa battesimale, presso le quali portavansi i bambini di tutto il distretto a
ricevere il battesimo, che si amministrava, fuori dal pericolo di morte, solo due volte
all'anno; cioè nel Sabato Santo e nel sabato precedente la Pentecoste.
Questa generale disciplina durò nella Chiesa Occidentale fino al secolo VI, dopo il quale
s'introdusse la costumanza di battezzare in qualunque giorno. Le Pievi (plebes) avevano un
proprio clero il quale abitava in una casa comune appellata Canonica o Canonìa. Soltanto
nelle chiese battesimali si cantava la Messa solenne, si celebravano i divini uffici e si
amministravano i Sacramenti. Negli Oratori, nelle cappelle o chiese parrocchiali minori,
non si poteva cantare la messa solenne senza il permesso del Plebano. Il Prete che era il
primo dei residenti nella chiesa battesimale, o prete della pieve o plebitano, verso il
secolo XI fu finalmente detto plebano o pievano. Lo storico Campi riferisce che il costume
dei preti addetti alle plebanie di vivere in comune appellandosi "fratelli",
durava ancora in quell'epoca. La chiesa di Pieve non è però delle primitive (IV e V
secolo), ma sorse alla fine del secolo IX all'epoca carolingia. Vicino alla chiesa c'era
un latifondo con caseggiato e forse anche un monastero: i Cistercensi della riforma
Benedettina. Infatti l'attuale cascina che è di fianco alla casa parrocchiale dal lato di
ostro (sud), anche oggi si chiama Abbadia. A questa medesima epoca si deve ascrivere
l'origine di San Siro o San Sillo. Nella consegna dei beni fatta nel 1057 da re Enrico IV
al vescovo Ubaldo, e nella investitura data da Gregorio VII nel 1187 a Sicardo vescovo di
Cremona, fra le molte altre chiese battesimali o plebane è registrata anche San Siro di
Quistro. Poiché l'attuale chiesa di Quistro è dedicata a San Lorenzo, è ovvio pensare
che l'antica, dedicata a San Siro, sorgesse o in diversa posizione, o anche nella stessa
ov'è l'attuale e nei successivi tempi distrutta e riedificata sotto il titolo di San
Lorenzo.
Il Grandi insinua anche l'idea che per errore si sia regi strato San Siro per San Sillo,
cioè l'oratorio dipendente da Corte de' Frati e che era nei tempi remoti soggetto a
Quistro. Poiché San Sillo fino al 1865 faceva comune con Motta, aggiungerò, a chiusa di
questo capitolo, che il nome Motta fu dato a molti luoghi in Italia. Questa denominazione
deriva dal germanico Mot o Gemot che significa "adunanza pubblica" o luogo ove
si tengono le adunanze. Questo vocabolo infatti era molto usato nel linguaggio diplomatico
del Medio Evo. Chiamavansi Motta l'assemblea del popolo. Per figura poi nel dialetto
lombardo si estese a significare quantità, mucchio. Così "motta" di denari, di
gente, ecc.
I secoli X e XI
Fine della dinastia Carolingia - Lotte tra nobili
Bresciani e Cremonesi - Enrico di Baviera, Corrado Il - Federico Barbarossa - L'arciprete
di Grumone riceve l'investitura di un bosco nel territorio di Pontevico
Il secolo X si apre e si chiude con l'estinzione di due dinastie: quella Carolingia con
Carlo il Grosso (a. 888), e quella Sassone con Ottone III (a. 1000). Questo secolo può
chiamarsi il periodo dei castelli e delle fortificazioni. E' vero che le invasioni sono
terminate, ma i popoli, specie quelli sulle zone di confine, dovettero subire incontri
armati provocati dall'ambizione dei Conti. Per oltre cinquant'anni (950-1000) Conti
Bresciani e Cremonesi s'azzuffarono sulla destra dell'Oglio in quel tratto che da
Bordolano va a Canneto, perché i primi, non so con qual diritto, imponevano tasse sui
nostri fondi. La costruzione di castelli e forti era una necessita per l'offesa e la
difesa. Il Robolotti osserva che Aspice nel 966 si chiamava "Castrum de Aspice"
ed era quindi già castello. A quest'epoca risale forse la costruzione del castello di
Corte de' Frati. Però, benché l'opinione possa essere giustificata dalla condizione dei
tempi, non ho trovato documenti.
Spenta la famiglia degli Ottoni, nel 1004 vediamo Enrico di Baviera entrare trionfalmente
in Brescia e da lui confermati nel 1014 all'Abbadessa del monastero di S. Giulia in
Brescia i beni che il Monastero teneva in Alfiano.
Il successore di Enrico, Duca Corrado II di Franconia, il giorno 13 giugno 1037 concedette
ad Odorico Vescovo di Brescia, tra le altre cose, anche il possesso dei fiumi Oglio e
Mella, con ambe le rive, dalla sorgente sino alla foce. In seguito, come vedremo, il
Vescovo ed il Comune di Brescia si appelleranno a questa concessione per far prevalere le
loro ragioni e impedire ai Cremonesi la costruzione dei ponti di Grumone e di Alfiano.
Incomincia a quest'epoca ad affievolire l'autorità imperiale e a svilupparsi il
feudalesimo. I popoli cercavano libertà e tranquillità nei Comuni. Ma dalla Germania
scese per ben cinque volte, dal 1155 al 1162, Federico Barbarossa il quale tentò di
abbattere le sparse forze dei Comuni e di reintegrare la potenza e le prerogative
imperiali.
Brescia era avversa al Barbarossa, Cremona invece lo favoriva. Nel 1138 Federico in
Bresciana rovesciò il potere comunale, impose un Podestà imperiale e ingiunse che
fossero assoggettate a lui tutte le fortezze e i fondi dell'Episcopato di Brescia; quindi
anche quelli di Robecco, Pieve, Alfiano, ecc. e li donò ai Cremonesi suoi amici.
I Cremonesi, fattisi audaci per queste donazioni, entrarono in Bresciana occuparono
castelli e fortezze, e contrastarono ai Bresciani i diritti concessi da Corrado II.
Però, con la sconfitta di Legnano (a. 1176) e con la Pace di Costanza ( 1183) nella quale
venne riconosciuta la libertà dei Comuni, e ai Vescovi vennero riconfermati i diritti
avuti in precedenza, i Cremonesi a malincuore dovettero rassegnarsi a restituire ancora ai
Bresciani la riva destra dell'Oglio: Robecco, Pieve, Alfiano.
Dei riacquistati diritti si valse subito il Vescovo di Brescia Giovanni II nel dare (a.
1188) ad investitura all'arciprete di Grumone un tratto di bosco situato nel territorio di
Pontevico. L'atto notarile di questa investitura fu steso il 24 marzo a Pontevico sotto il
portico della Pieve, alla presenza di quattro testimoni, due di Verola e due di Pontevico.
Il Vescovo, a convalida di detta investitura, dichiarò per se e per i suoi successori di
entrare egli difensore dell'arciprete quando gli venissero contrastati i diritti su quel
tratto di bosco. Pure in quest'epoca, siccome gli abitanti di Robecco e di Pieve Grumone
contrastavano alla famiglia Ugoni di Brescia il possesso sito in Grumone, uscì un decreto
col quale si dichiarava detto laghetto (di Grumone) di giurisdizione bresciana.
Ci troviamo così alle porte del secolo XIII.
Il secolo XIII
L'arciprete di Grumone investe i Consoli di Cremona del
tratto di bosco situato a Pontevico - Nuove ostilità tra Bresciani e Cremonesi - Federico
II -Gli Umiliati di S. Abbondio - Pubbliche calamità.
L'arciprete Ognibene di Grumone, forse per paura di perdere, a causa delle continue
contese, quel tratto di terra situato a Pontevico, il giorno 2 dicembre 1209, in nome
della stessa Pieve e dei Fratelli Lanfranco e Ottone, investì i Consoli di Cremona,
Ponzio Piceno e Barozio di Borgo. Questo atto di investitura fu steso dal notaio Umberto
nel palazzo del Comune di Cremona, presenti i testimoni Ottone del Conte, Frugerio
Bottazzo, Egidio di Bonato, Lanfranco di Bordolano e Alario dei Riboldi. La notizia è
riferita dal Berenzi, il quale potò vedere l'istrumento conservato nell'archivio segreto
di Cremona (H-97, N 2461). La parola "fratelli" usata nel documento ci fa sapere
che a quell'epoca vivevano a Pieve in comunità almeno tre sacerdoti.
Lo storico Cavitelli, come il Campi e il Robolotti, osservano che nel 1208 il podestà di
Cremona Assagito Sannazzaro fece gettare un ponte presso Grumone, così i Cremonesi per il
trasporto delle merci non avrebbero più versato ai Bresciani il così detto pedaggio
imposto a chi si serviva del vicino ponte di Pontevico. Questo fatto non solo era una
lesione dei diritti concessi dal famoso decreto di Corrado II, ma fece nascere anche il
sospetto che i Cremonesi avrebbero usato del ponte di Grumone, incustodito, per le loro
scorrerie nel Bresciano.
Prima del 1213 i Bresciani, siccome erano impegnati a sedare lotte interne, non trovarono
il tempo d'impedire la costruzione di quel ponte o di tagliarlo; ma appena ritornata la
pace interna si affrettarono a far sapere ai Cremonesi che quel passaggio bisognava
distruggerlo perché costruito sopra terra bresciana. E in data 7 ottobre 1215, in
adunanza tenuta presso il ponte tra Bresciani e Cremonesi, questi ultimi a nome del comune
di Cremona giurarono solennemente che il ponte sarebbe stato abbattuto. Praticamente non
venne distrutto subito, perché fin d'allora i patti erano giuochi dettati dalla paura,
erano imposture redatte in forma solenne. Per questo e per antichi odii mai spenti, nel
luglio 1228, mentre era podestà di Cremona Bernardo Rossi da Parma, ad Alfiano avvenne
uno scontro armato tra bresciani e cremonesi, e stando a ciò che racconta il Cavriolo i
Cremonesi ebbero la peggio e rimasero quasi tutti morti, e il resto fatti prigionieri.
Infatti scrive il Robolotti che ad Alfiano esiste un campo chiamato "degli
ossi", dove ancor oggi scavando profondamente si trovano resti umani. Il Malvezzi
dice che più di 600 furono i prigionieri e più di 200 perirono nelle acque del fiume. La
"Cronaca di San Pietro" tra i morti ricorda un certo Conte Baldovino. Questo
nome fa pensare ad un abitante di Corte de' Frati o ad un Signore che qui aveva dei
possedimenti. Infatti l'attuale Via Manzoni è sempre ricordata sotto il nome di via
Baldovino, e il campo situato di fronte alla cascina "Paradiso", ora di
proprietà Gazzina Silvio, ab antiquo chiamavasi "Baldovino".
Bresciani e Cremonesi dopo questa guerra non ebbero il tempo di riprendere le ostilità
perché nel 1237 le terre furono occupate dall'esercito di Federico II, disceso con i suoi
Alemanni, Pugliesi, Siciliani, Saraceni, cui si aggiunsero i Cremonesi, deciso a lavare
l'onta toccata a Legnano al suo avo Federico Barbarossa. L'esercito dei collegati accorse
per salvare i passi e i ponti sull'Oglio. Federico, accampato presso Pontevico, s'accorse
che non era impresa facile la sua e pensò di temporeggiare, facendo parate secondo lo
stile e lo sfarzo orientale. Si avanzava però una stagione poco buona e l'impresa
diventava sempre più difficile. Le continue piogge del novembre e i disagi suggerirono a
Federico lo stratagemma. Fece correre la voce che a causa della stanchezza dei soldati si
sarebbe ritirato e per questo finse di licenziare le milizie ausiliarie. Diffusa questa
notizia, l'esercito dei collegati ritirò le tende per portarsi nei quartieri d'inverno.
Non appena Federico seppe queste nuove, richiamò gli ausiliari, passò il ponte ad
Alfiano, inseguì l'esercito della Lega e presso Corte Nova i Milanesi con gli alleati
ebbero la peggio. L'Imperatore poté così entrare trionfalmente in Cremona.
Proprio in questa prima metà del secolo XIII, sotto il pontificato di Innocenzo III,
sorsero i cosiddetti Frati Umiliati, che nel 1246 entrarono in possesso dell'Abbazia di S.
Abbondio in Cremona, tenuta fin dal secolo X dai Benedettini.
I fondi di Corte de' Frati - che incominciò a chiamarsi così in quell'epoca - passarono
in possesso ai frati Umiliati.
Dal 1250 fin verso il 1300 Pieve Grumone, Alfiano, Corte de' Frati e in genere tutti i
paesi confinanti col Bresciano furono continuamente devastati dai Malessardi, fazione che
parteggiava per l'imperatore, da Guelfi e da Ghibellini. Anche il Marchese Pallavicini di
Cremona, di parte ghibellina, fece alcune scorrerie nel Bresciano e divenne signore di
Brescia. Il Cavitelli nei suoi Annali ricorda come il Pallavicini, dopo aver riportato
vittoria sopra i Bresciani vicino a Bassano, condusse ad Alfiano prigionieri 800 cavalieri
e 500 fanti (a. 1250).
Alle calamità prodotte dalle continue guerre bisogna aggiungere a chiusa di questo
sventurato secolo altre sciagure. Le Cronache, osserva il Muratori, asseriscono che nel
1276 intervennero memorabili calamità. Incominciò quest'anno con un freddo eccezionale,
tanto che gelarono i fiumi e furono rovinati gli alberi e le viti. In primavera a causa
delle continue piogge si ebbero inondazioni disastrose per le campagne, e ciò causò una
grande penuria di viveri e la gente moriva per la fame. Per colmo di sventura scoppiò una
peste terribile che seminò ovunque la morte. |