NOTIZIARIO

ANNO VII - NUMERO 23
4° TRIMESTRE 1999


IL CIELO INVERNALE 1999-2000

Come lo scorso anno, il freddo cielo di fine anno fa da palcoscenico per i due giganti del nostro sistema solare: Giove e Saturno.

Quest'anno la loro distanza reciproca è di soli 15 gradi, vale a dire un'ora di tempo di differenza. In meridiano tra le dieci e le undici a inizio dicembre, i due resteranno ben visibili per parecchi mesi, dato che sono appena passati in opposizione.

Giove stavolta si mostra leggermente diverso dal solito: la regione equatoriale è piuttosto scura e di colore giallo, e spesso contiene una banda stretta e sinuosa, formata dall'unione dei pennacchi equatoriali. In più la SEB, molto scura prima nella sezione antecedente la Grande Macchia Rossa (sempre più sbiadita), è decisamente più chiara nella parte seguente.

Immagine di Giove ripresa da Fabrizio Marchi, dalla zona di Treviso, il 31 agosto 1999 alle 23.37 TU. Il pianeta era situato in quel momento nella costellazione dei Pesci ed è stato ripreso con un telescopio Zen apocromatico da 150 mm. di diametro e 1500 mm. di focale (portato con una lente di Barlow a f/30), impiegando un c.c.d. Starlight HX516, con pixel quadrati da 7,4 micron di lato. Il tempo d'esposizione è stato di 0,2 secondi.       Jupiter: 18 KB

Saturno continua a mostrare i suoi anelli con un angolo sempre maggiore, e proseguirà di questo passo sino all'inverno del 2002, l'anno della massima apertura. Già ora comunque si riescono a distinguere parecchi dettagli: in condizioni di buon seeing e con uno strumento di 200 mm o superiore la divisione di Cassini è visibile su tutto l'anello, mentre è un po' più facile da osservare rispetto gli ultimi anni l'elusivo anello C; coi mesi sarà interessante osservare l'ombra del globo sugli anelli, che crescerà mano a mano che il pianeta cambia la sua angolazione rispetto al Sole.
L'intero complesso degli anelli e delle divisioni tra di essi (Cassini ed Henke) è ben visibile in un'immagine ripresa dall'Hubble Space Telescope il 4 gennaio 1998; per visionarla cliccate qui. (NdR: Copyright © 1998 by E. Karkoschka - University of Arizona - and N.A.S.A.)

Passando ad astri più lontani, a ovest potremo notare il triangolo estivo (Vega, Deneb e Altair) che si accinge al tramonto, mentre la grande costellazione del Pegaso si avvicina allo zenit, seguita da vicino da Andromeda.

Più a sud ci sono i Pesci e Balena, mentre a est ci sono il Perseo, l'Auriga e il Toro. Mentre le prime due contengono solo oggetti abbastanza deboli, le altre sono molto ricche di ammassi aperti.

Il più bello al telescopio è sicuramente il Doppio Ammasso del Perseo (NGC 869 e 884), un coppia di ammassi molto vicini prospetticamente, costituiti da centinaia di stelle giovani e calde.

Nell'Auriga c'è un terzetto di ammassi, tutti catalogati da Messier: M 36, M 37, M 38, tutti molto facili anche al binocolo.

Il Toro contiene le Pleiadi (M45), le cui stelle più luminose sono visibili ad occhio nudo; un telescopio può mostrarne un centinaio, e disponendo di un cielo molto buio si potrà vedere la nebulosità che le avvolge riflettendo la loro luce. Spesso una leggera appannatura può trarre in inganno, creando degli aloni attorno alle stelle più brillanti, ma per essere sicuri di averla vista conviene osservare Merope, dove essa è molto più visibile.

Pleiadi riprese da Rolando Ligustri con un obiettivo : 135 mm - f/3.5 ed impiegando un c.c.d. Starlight SXL8; il tempo d'integrazione è stato di 2 x 5m. in binning 2 x 2.       Pleiades open cluster: 78 KB

Oltre alle Pleiadi, nel Toro ci sono due ammassi più piccoli: NGC 1647 e NGC 1746, il primo più concentrato, il secondo più disperso, entrambi costituiti prevalentemente da stelle di decima e undicesima magnitudine. A differenza delle Pleiadi, che distano circa 400 anni luce dalla Terra, questi due ammassi si trovano a circa 1.500 anni luce; in più il secondo è molto vecchio, come dimostrano le sue stelle più brillanti, tutte giganti rosse.

Nel Toro troviamo anche M 1, la Crab Nebula, un residuo di una supernova esplosa nel 1054. E' estesa circa cinque primi, allungata in senso nordovest-sudest; osservandola con grossi strumenti dalla montagna si potranno cogliere alcuni filamenti, ben visibili solo in fotografia, ma per vederla è sufficiente un binocolo su treppiede o un piccolo binocolo.

Passando alla vicina Orione, uno sguardo ad una foto a largo campo ci farà notare una caratteristica che la rende speciale: delle sette stelle che la compongono, sei sono di tipo B, cioè molto calde, mentre Betelgeuse è di tipo M, essendo di fatto una supergigante rossa, con un diametro 800 volte quello solare.

La costellazione di Orione ripresa da Paolo Beltrame dal Monte Majur, l'8 febbraio 1997. Strumentazione impiegata: obiettivo TAMRON 50 mm (f/4), con una pellicola Kodak Ektapress 1600 (sviluppata a 3200 ISO) esposta per 12 m.

Oltre alle stelle che denotano la costellazione, si notano pure le nebulose M 42, Fiamma, Testa di Cavallo, Rosetta e l'anello di Barnard.

      Orionis constellation: 111 KB

Ma anche le altre non scherzano, soprattutto considerando la luminosità: Mintaka, Alnilam e Alnitak, la cintura, hanno una magnitudine assoluta tra la -5 e la -6, cioè sono almeno 10.000 volte più brillanti del Sole; il primato va a Rigel, con 40.000 volte la luminosità della nostra stella, mentre un altro va a Meissa, la Lambda, che è una delle pochissime stelle O (le più calde) che si vedano ad occhio nudo.

Esaminando la spada, vediamo che anche la Iota è di tipo O, mentre le stelle del Trapezio e quelle dell'ammasso NGC 1981, appena sopra M 42, sono di tipo B o al limite tra i due tipi; in effetti fanno tutte parte di un gruppo di stelle chiamato Associazione OB di Orione, tutte molto giovani e destinate ad allontanarsi reciprocamente con l'avanzare dell'età.

Paolo Beltrame


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© Copyright 1999 di Paolo Beltrame (testo); adattamento web di Lucio Furlanetto

Pagina caricata in rete: 3 ottobre 1999; ultimo aggiornamento (4°): 26 settembre 2007